Pacchetto sicurezza, forti contrasti
da Il Corriere della sera del 18.10.99
ROMA - Il «pacchetto sicurezza», varato dal governo nel
marzo scorso per contrastare la criminalità diffusa, sta per essere
affrontato da un comitato ristretto all'interno della commissione Giustizia
della Camera. Il comitato inizia infatti stamane l'esame della relazione
di Giovanni Meloni di Rifondazione Comunista, nella quale sono sintetizzati
cambiamenti, proposte e nuove chiavi di lettura suggeriti nei giorni scorsi
dai membri del comitato. Alla fine il lavoro del comitato verrà
sottoposto al voto della Commissione al completo, e quello sarà
il testo sul quale si dovrà confrontare il Parlamento.
Tempi eccessivamente lunghi, accusa critico Ignazio La Russa di An,
mentre Anna Finocchiaro, che della Commissione è presidente, difende
la serietà del lavoro del comitato. Che, anche se talvolta con forti
contrasti, sta cercando di «irrobustire» lo scheletro del pacchetto.
Fra le proposte raccolte da Meloni c'è anche quella di bocciare
l'istituzione di un nuovo reato di furto in appartamento e di equiparare
lo scippo alla rapina, due punti-chiave del pacchetto governativo. Ma si
è parlato anche dell'eliminazione dei ricorsi in Cassazione, di
interventi per snellire le procedure anche per la concessione dei benefici
penitenziari, e di una maggiore autonomia investigativa della polizia giudiziaria,
mantenendo però l'attuale rapporto con il pm. Proposte, tutte ancora
da discutere. Proposte che, se venissero accettate, cancellerebbero però
di fatto una delle principali novità del pacchetto sicurezza del
governo: l'istituzione dei nuovi reati di furto in appartamento, previsto
come articolo 614 bis del codice penale, e l'introduzione dello scippo
nell'articolo 628 del codice, dedicato alla rapina.
Entrambi, suggeriscono i commissari, dovrebbero invece diventare titoli
di reato autonomi, ma all'interno dell'articolo 624, quello che si occupa
del furto. Per quanto riguarda l'effettività della pena, dovrebbe
essere il magistrato di sorveglianza, e non più il tribunale, a
decidere sulle pene alternative. Secondo un monitoraggio effettuato dal
ministero della Giustizia, il fatto che molti condannati escano dal carcere
poco dopo la sentenza nascerebbe dalla lunga attesa della decisione sulle
pene alternative. Secondo tale studio, solo il 30 per cento dei detenuti
infatti beneficia di tali misure. Mentre il 70 per cento, quelli ai quali
poi vengono negate, devono rimanere in galera. Dimezzando i tempi di attesa,
suggerisce ora il comitato ristretto, si potrebbe «recuperare»
questo 70 per cento. E comunque la concessione delle misure alternative
al carcere dovrebbe essere fortemente limitata per i reati che creano forte
allarme sociale.
Quanto ai rapporti tra pm e polizia giudiziaria, l'impianto può
anche restare quello attuale, con il magistrato coordinatore delle indagini,
ma dovrebbe essere «evidenziata più espressamente» la
possibilità (che già esiste) per la polizia di continuare
autonomamente le indagini, senza attendere le direttive del pm. E infine
i ricorsi in Cassazione. L'obiettivo rimane quello di limitarli al giudizio
di legittimità, diminuendo i ricorsi per quindi accelerare i procedimenti:
gli interventi, suggerisce la relazione di Meloni, dovrebbero riguardare
tra l'altro l'eliminazione della possibilità del ricorso personale
dell'imputato, e una specifica disciplina per il ricorso per manifesta
illogicità della sentenza, limitando gli atti del processo su cui
la Cassazione potrà esprimersi.
G. Ga.
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