”Giusto processo”,il ministro non censuri le critiche

da Il Messaggero del 18.10.99

di VITTORIO GREVI *
EGREGIO Direttore, ho letto sul Suo giornale che il guardasigilli Diliberto avrebbe dichiarato, con riferimento alle preoccupazioni ed alle critiche da me espresse, in un recente convegno dell’Associazione nazionale magistrati, sulla riforma costituzionale relativa al ’’giusto processo’’, che «per fortuna ci sono mille parlamentari che la pensano diversamente». L’allusione è alla circostanza che nel giro di pochi mesi il progetto di modifica dell’art. 111 Cost. è già stato approvato in prima lettura sia dal Senato, sia dalla Camera, e dal Senato anche in seconda lettura. 
Si tratta di una circostanza incontestabile, per quanto singolare (ed anzi per certi versi sorprendente, soprattutto per l’insolita rapidità e per la vastissima piattaforma di consensi delle relative votazioni), che tuttavia non sposta il problema. Perché, al di là delle frasi ad effetto, il problema non è se sia una ’’fortuna’’ che mille parlamentari la pensino diversamente, ma se abbiano ragione a pensarla così: se cioè siano, o non siano, fondate le preoccupazioni e le critiche, anche drastiche, ormai da tempo, e da tante parti, manifestate su tale progetto di modifica costituzionale. 
Questo è il vero nodo politico-legislativo di cui dovrebbe farsi carico, su un tema così cruciale, un Ministro della Giustizia che non si limiti a registrare passivamente i più o meno meditati orientamenti parlamentari. Tanto più che molti deputati e senatori, quando hanno votato, forse non erano del tutto consapevoli dei dettagli di ciò che votavano, e delle conseguenze che proprio da quei dettagli possono derivare. Mentre molti altri (di varia provenienza politica), pur riconoscendo in privato la fondatezza delle critiche e delle preoccupazioni, confessano di averle superate nel momento del voto per esclusiva ubbidienza alle direttive dettate dai rispettivi gruppi. Dopo di che è lecito domandarsi se tutto ciò sia normale, specialmente quando si venga ad incidere, e in misura cospicua, su un testo delicatissimo e rigido come la odierna Costituzione. 
Senza dubbio tutti siamo d’accordo sull’esigenza di rafforzare i principi del ’’giusto processo’’, e anche di trasferirli nella Carta costituzionale. Chi mai potrebbe dire di volere un processo non giusto? E’ questo, ovviamente, un argomento molto suggestivo, anche nelle aule parlamentari. Ma la sostanza della questione consiste nell’individuare quali siano i principi fondamentali da costituzionalizzare, e quali invece quelli (per lo più non ’’principi’’, bensì ’’regole’’) da collocare nel codice: in modo da consentire alla legge ordinaria di adeguare i grandi principi ai diversi procedimenti e alle differenti situazioni processuali. Così invece non avviene nel progetto oggi in esame, dal quale deriverebbe fatalmente un pericoloso irrigidimento del modello di processo penale definito nella Costituzione e destinato come tale a vincolare ogni futura scelta a livello di codice. 
Due domande soltanto, per finire. Davvero i nostri parlamentari si sono resi conto che le norme della Convenzione europea sui diritti umani che si vorrebbero inserire nella Costituzione sono solo quelle di garanzia (cui se ne aggiungono altre, di ulteriore garanzia), e non anche quelle che introducono limiti o deroghe a tali garanzie? Davvero si sono resi conto che, a questa stregua, d’ora in poi ogni processo penale, anche per reati bagatellari, anche di fronte al giudice di pace, dovrebbe sempre di regola svolgersi nella più piena osservanza di tutti i congegni del contraddittorio? Non è questa la sede per fare un discorso più preciso. Tuttavia si deve trovare il tempo per riflettere ancora, se è vero che in virtù di troppe (e mal assortite) garanzie il sistema della giustizia penale può anche scoppiare. 
* Università di Pavia