Proposta dei commercialisti per la Cassazione 

da Il Sole 24 ore del 19.10.99

di Enrico De Mita
Grande confusione di lingue nel campo delle professioni. I consulenti del lavoro rivendicano di poter assistere i contribuenti su tutti i tributi. I dottori commercialisti non sono da meno: vogliono poter patrocinare in Cassazione, come se fossero degli avvocati, ritenendo di avere le carte in regola perché, se riconoscono di essere poco ferrati in diritto processuale, ritengono gli avvocati meno preparati di loro in tema di bilanci e di questioni di merito. Ora dalle reciproche deficienze non discende affatto una legittimazione come quella avanzata.

Forse la creazione della sezione speciale della Cassazione in materia tributaria può aver creato qualche equivoco: quella istituzione è un fatto puramente organizzativo, ma la Cassazione rimane il giudice della legittimità, della «violazione di legge», secondo la previsione della Costituzione. Se il giudice non rispetta la legge, in tutti i suoi aspetti, sostanziale e formale, si va in Cassazione. E qui si discute solo di leggi, i presunti aspetti tecnici di bilancio sono letti sempre nelle norme del Codice civile e nelle "variazioni" di cui parla l’articolo 52 del Testo unico. Non ci sono in questo giudizio aspetti tecnici che richiedano la presenza di un professionista diverso dall’avvocato. Inoltre, va detto che non tutti gli avvocati sono patrocinanti in Cassazione, ma solo quelli che hanno maturato ben 12 anni di esperienza dall’iscrizione all’Albo, o sono professori universitari titolari di materie giuridiche o hanno superato un esame che ben pochi affrontano e superano.

Ognuno deve fare il suo mestiere. Un cassazionista è un avvocato che ha una cultura giuridica robusta e non solo settoriale. Le leggi tributarie non danno luogo a un diritto che sia una parrocchietta chiusa ma sono strettamente legate a quelle di altri campi del diritto, sia sostanziale che formale: civile, commerciale, processuale, amministrativo, internazionale, penale. Se, per quanto concerne il diritto sostanziale, i commercialisti hanno una preparazione incompleta, per quanto riguarda il diritto formale (procedure e processi) la loro impreparazione teorica è totale. Questo non esclude che esistano singoli commercialisti che di fatto hanno una preparazione di ottimo livello. Ma il problema è di regole.

Come fa un Ordine professionale a rivendicare le competenze di un altro? Eppure i commercialisti sono stati gelosi custodi di "loro prerogative", come quella del visto e della dichiarazione telematica. La spiegazione c’è ed è di tutta politica.

Viviamo in una fase di crisi politica caratterizzata da un esasperato sindacalismo proprio e improprio. La richiesta in esame appartiene al sindacalismo improprio. Il Governo tratta con tutte le categorie in materia fiscale e quindi anche i commercialisti hanno pensato di avanzare in sede di commissione Finanze la loro bella rivendicazione. Ma la commissione Finanze non c’entra. Il patrocinio davanti alla Cassazione appartiene a un altro capitolo. È materia del ministero di Giustizia e della commissione Giustizia (ordinamento della professione di avvocato).

Se bastasse la loro preparazione in tema di bilanci per legittimarli a patrocinare in Cassazione, allora i commercialisti dovrebbero chiedere prima di tutto di fare gli avvocati anche davanti al giudice ordinario, civile e penale, quando la lite dovesse toccare in qualche modo il bilancio.

La collaborazione tra professionisti non si ottiene, come qualcuno propone in subordine, inventando una specie di difesa accoppiata davanti alla Cassazione dove l’avvocato faccia il giurista e il commercialista faccia il tecnico di bilancio. Il ricorso è uno solo e i suoi motivi, che individuano l’oggetto della decisione, riguardano sempre e soltanto l’interpretazione corretta della legge e per quattro quinti, sono di natura processuale (giurisdizione, competenza, nullità, motivazione).

La collaborazione va preparata, se si vuole, immaginando un nuovo tipo di professionista che può nascere dalla collaborazione delle facoltà di legge e di economia: obbligando i ragazzi a studiare il diritto processuale e i bilanci, con uno sbocco in un ordine professionale apposito. È una strada lunga, ma è l’unica seria.

La confusione delle lingue in Italia è già notevole in politica perché professionisti, da tutti apprezzati come tutori della razionalità e delle regole, si mettano a imitare i politici nei loro difetti.