Cassazione incompresa

da La Gazzetta del Sud del 20.2.99

Giuseppe Nàccari naccari.eps M an mano che passano i giorni l'ondata emotiva e irrazionale contro la pronuncia della Cassazione, entrata ormai nella cronaca giudiziaria come la sentenza del «non stupro in jeans», sta per esaurirsi anche perché il dibattito apertosi ha contribuito e contribuisce a chiarire la verità storica. Vi è stata un'erronea informazione, o forse una lucida deformazione. Su questo giornale, mercoledì scorso, vi è stato un chiaro, puntuale intervento di Ugo Ruffolo, che ha riportato le cose nei suoi giusti confini e, personalmente, condivido pienamente il suo pensiero. Purtuttavia ritengo che qualche ulteriore riflessione possa essere fatta per quanto concerne l'accusa al giudice di legittimità (accusa non nuova), secondo la quale vi è un sistematico sconfinamento da parte della Cassazione nel merito. Da qui la proposta avanzata da più parti dell'inutilità di un terzo giudizio di merito. Una iniziativa pericolosa da contrastare, essendo ancora oggi la Cassazione, nonostante tutto, il supremo garante della legalità. A nche nel caso in esame si è erroneamente sostenuto che la Cassazione fosse entrata nel merito con l'affermazione (non vera) che con i jeans lo stupro non è possibile. Va tenuto presente che da tempo la Cassazione ha sancito il principio che le sentenze di condanna o di assoluzione devono essere motivate, cosa che nel caso specifico il giudice d'appello, nel riformare la precedente assoluzione del tribunale, non aveva fatto. Il giudice di legittimità, cioè la Cassazione, doveva pur dire quali erano i punti che la Corte d'Appello aveva omesso di valutare e quali, valutati e privilegiati, si prestavano a una doppia interpretazione e, quindi, erano equivoci. È questo entrare nel merito? No, dal momento che, cassata la sentenza con rinvio alla stessa Corte d'Appello in diversa composizione, il giudice di legittimità doveva indicare fatti e circostanze sui quali portare il nuovo esame. È uno dei casi previsti dall'art. 606 cpp per la probabilità del ricorso. La sentenza poggiava solo sulla tardiva e contraddittoria dichiarazione della presunta stuprata, omettendo qualsiasi valutazione sui comportamenti intermedi e sugli altri elementi emergenti. In base alla dichiarazione della ragazza, la Corte d'Appello aveva ritenuto la violenza per il fatto che i jeans erano appena abbassati, che invece, in caso di consenso, dovevano essere tolti. La Cassazione doveva pur dire che quella situazione non poteva essere risolutiva ai fini dell'affermazione della responsabilità, dato che l'amplesso era avvenuto in luogo pubblico e, quindi, si imponeva un minimo di precauzione al fine, in caso di apparizioni non gradite, di ricomporsi celermente. Fin qui la valutazione in diritto. A parte le proteste di fondamentalismo femminista, frutto di un ideologismo passionale, vi è un movimento di pensiero politico giudiziario che tende a eliminare la Cassazione. In questa prospettiva va guardato il disegno di legge, allo studio degli esperti del ministero di Grazia e giustizia, per far eseguire la sentenza di secondo grado nonostante il ricorso in Cassazione. Questo movimento contrario alla Cassazione sta mettendo radici anche in Parlamento e c'è, quindi, motivo per non star tranquilli. Sandra Fei, una delle deputate che ha organizzato alla Camera la protesta in jeans, su un quotidiano del Nord, ha affermato: «È vero che l'art. 606 cpp consente il giudizio per manifesta illogicità della motivazione [...] ma – e credo che i giuristi non potranno negarlo – la logica prioritaria di riferimento è proprio quella prefigurata nella legge alla qual si riferisce il provvedimento, quella appunto sulle violenze sessuali in totale contrapposizione con le affermazioni o i suggerimenti della Cassazione». In sostanza, la onorevole parlamentare ritiene che in materia di violenza alle donne, non vadano osservate le regole del «gioco», ma si debba applicare una giustizia komeinista. Il che, francamente, atterrisce!