Referendum, la Consulta dice sì 

da Il Sole 24 ore del 20.1.99

ROMA — Ammissibile. La Corte costituzionale ha dato via libera al referendum Segni-Di Pietro sull’abrogazione della quota proporzionale per l’attribuzione del 25% dei seggi della Camera. La decisione è stata presa ieri sera, dopo nemmeno due giorni di camera di consiglio. Un record senza precedenti che smentisce, di fatto, le illazioni dei giorni scorsi su una Corte spaccata o addirittura già orientata a bocciare la consultazione popolare. 
Le motivazioni della decisione verranno depositate nei prossimi giorni (il termine massimo è il 10 febbraio) e soltanto allora si metterà in moto la macchina elettorale: il presidente della Repubblica fisserà il giorno del voto in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. E se la maggioranza dei votanti sarà favorevole all’abrogazione, i 155 seggi della Camera oggi assegnati col criterio proporzionale verranno attribuiti ai candidati che in ciascuna circoscrizione si sono piazzati meglio dopo i primi eletti. A meno che il Parlamento non decida di modificare, integrare o perfezionare questo sistema con un’apposita legge. Che, se approvata prima del referendum, potrebbe persino rendere superflua la consultazione popolare (sempre che la Cassazione verifichi che l’obiettivo dei referendari non sia stato sconfessato).
Esultano, ovviamente, i referendari, che salutano la «bellissima giornata» (Segni), si «complimentano con la Corte e i 600mila cittadini che con le loro firme hanno reso possibile questa battaglia» (Barbera) e che adesso «dovranno decidere se andare avanti o tornare indietro» (sempre Segni).  Diversi i toni usati dai tre leader del Polo: soddisfatti Fini e Casini, più tiepido Berlusconi, che considera la decisione della Corte «un ulteriore stimolo al Parlamento affinché si assuma finalmente la responsabilità di una nuova legge elettorale» per rafforzare il bipolarismo ed evitare ribaltoni. Esulta anche Romano Prodi, per il quale adesso «comincia una bella battaglia», e si compiace anche il segretario dei Ds Walter Veltroni, mentre da palazzo Chigi ci si limita a osservare che le sentenze della Corte sono «sempre accolte con rispetto».
«Rispetto» per la Corte anche dal fronte del no, dove Lega, Verdi, Prc, Comunisti, Socialisti e Popolari già affilano le armi in vista del «voto». «Lo affronteremo a viso aperto», fa sapere Franco Marini, convinto più che mai che occorra una legge elettorale per porre rimedio alle «contraddizioni» e ai «pericoli» del sistema derivante dalla vittoria dei sì al referendum, che «lascerebbe il paese in braghe di tela».
La notizia del via libera al referendum è arrivata in serata con un comunicato stampa della Corte, che ieri mattina era tornata a riunirsi in camera di consiglio per proseguire la discussione cominciata la sera prima. Ma a fine mattinata l’orientamento dei quindici giudici costituzionali era già chiaro. Tant’è che il presidente Granata consigliava al capo ufficio stampa, Mario Bimonte, di tornare nel pomeriggio e di fermarsi fino alla fine della camera di consiglio. Nonostante il riserbo che come sempre circonda le riunioni dei giudici, sembra che la discussione sia andata avanti de plano, senza particolari intoppi. Il verdetto, scrivevano ieri sera le agenzie di stampa, sarebbe stato preso a maggioranza. Ma qualcuno, a palazzo della Consulta, non esclude l’unanimità.  Certo è che sbagliava chi, nei giorni scorsi, dipingeva una Corte spaccata o addirittura già orientata per l’inammissibilità. «Una cosa sono le idee politiche personali sul sistema elettorale — osserva un inquilino di palazzo della Consulta che chiede di restare anonimo — una cosa è il ragionamento tecnico-giuridico e il doveroso rispetto della giurisprudenza costituzionale». Così, mentre nei palazzi della politica infuriavano le polemiche e si spargevano veleni sulla Corte e sulla sua permeabilità alle pressioni, i quindici giudici costituzionali sono andati avanti per la loro strada, rimanendo fedeli ai principi da essi stessi scolpiti in materia di referendum. Perciò, verificata la «non ambiguità» del quesito (inteso come operazione referendaria), e dunque la sua «chiarezza, omogeneità e univocità»; accertato che l’eventuale vittoria dei sì al referendum non creerebbe vuoti legislativi tali da mettere in pericolo, nell’ipotesi di scioglimento anticipato delle Camere, la «costante operatività dell’organo» perché la cosiddetta «normativa di risulta» sarebbe «immediatamente applicabile»; constatato che la «manipolazione» effettuata dai referendari rientra nei limiti consentiti, in quanto il sistema che ne deriva non è completamente avulso dalla legge elettorale vigente ma è «coerente» con essa; ribadito che gli eventuali inconvenienti della «normativa di risulta» possono essere «corretti, modificati o integrati» dal Parlamento, la Corte ha avuto buon gioco a sentenziare, in poche ore, l’ammissibilità della consultazione popolare. Un compito tutto sommato semplice e prevedibile se è vero che già da diversi giorni i giudici avevano programmato di dedicare la seconda metà di questa settimana ad altri argomenti all’ordine del giorno.
Donatella Stasio