Donna magistrato si uccide in tribunale: «Depressa da troppo lavoro»

da Il Corriere della sera del 20.1.99

TORINO - Un pugno di lettere indirizzate ai familiari. Una pistola. E alle quattro del pomeriggio, in un ufficio al terzo piano del Tribunale civile di Torino, il suono secco di due spari. Lo sentono per primi gli impiegati dalle stanze vicine. Corrono. Inutilmente: Gabriella Lo Moro, 56 anni, magistrato e moglie di magistrato, è a terra senza vita, sola con la pistola con cui si è tolta la vita. 
Nella cittadella della giustizia torinese cala una cappa di dolore e incredulità. Francesco Marzachì, il procuratore capo, si precipita in via delle Orfane, già affollata di altri giudici, di avvocati, di persone che con Gabriella Lo Moro lavoravano e che adesso non si spiegano che cosa possa essere successo:
«Era - dicono - una persona serena, instancabile sul lavoro». Ma quei due colpi di pistola, uno evidentemente andato a vuoto, li contraddicono. Li contraddicono le lettere lasciate ai familiari, le due figlie e il marito Alberto Oggè, da cinque anni procuratore capo a Novara e sul punto di tornare a Torino come presidente di una sezione della Corte d’Appello. Li deve contraddire, turbatissimo, Marzachì: «Sì, si è sparata». 
Nessun dubbio che si tratti di suicidio. Cercato con disperata determinazione, visto che lo stesso Marzachì conferma le due detonazioni (una delle quali, fatale, alla tempia). E provocato, pare, da una forte depressione. A dispetto dell’immagine che il magistrato dava di sé: «Era una professionista instancabile» continua a ripetere, davanti al Tribunale, un avvocato che ricorda gli innumerevoli sabato mattina passati da Oretta (così la chiamavano gli amici) a smaltire pratiche nel suo ufficio di giudice per le esecuzioni immobiliari. 
«Instancabile». E invece proprio il superlavoro, secondo i magistrati torinesi, sarebbe alla base della depressione che alla fine Gabriella Lo Moro non è più riuscita a sopportare. E’ l’ipotesi avanzata dal procuratore aggiunto Marcello Maddalena all’uscita esce dal palazzo di via delle Orfane: «Lavorava troppo, non aveva fatto un’ora di ferie né a luglio né ad agosto, aveva di fronte una mole troppo pesante di impegni». 
Ma cercare le ragioni di un suicidio non è mai così semplice. Forse il giudice si è sentito schiacciato.  Forse quella «mole di impegni» ha innescato una spirale che proprio in Tribunale, tra le mille carte da sbrigare, Gabriella Lo Moro non ha più avuto la forza di controllare. Forse la stessa richiesta di trasferimento a Torino da parte del marito, richiesta accolta nel luglio scorso dal Csm, come dicono alcuni in città, potrebbe essere spiegata anche dal desiderio di restare più vicino alla moglie e alla famiglia. Perché sapeva o aveva capito che cosa stesse passando sua moglie? Forse. Ma sono domande inutili, che aggiungo violenza alla violenza di un suicidio. E poi, in realtà, pur passando a Novara le sue giornate lavorative, Oggè non ha mai lasciato davvero Torino: è qui che lui, giudice per nulla mondano, che ha legato il suo nome a inchieste scottanti su corruzione e concussione, rientrava sempre appena glielo consentivano i ritmi della legge. Quegli stessi ritmi che, secondo i suoi stessi colleghi, alla fine sua moglie Gabriella non è più riuscita a reggere. 
R. Po.