Consulta, sì al referendum 

da La Repubblica del 20.1.99

di SILVIO BUZZANCA 
ROMA - Sentenza lampo, si era detto e sentenza lampo è stata. La Corte costituzionale ha deciso, a larga maggioranza, che il referendum Segni-Di Pietro è ammissibile e ha stabilito che, salvo interventi del Parlamento, gli italiani voteranno sul quesito che chiede la cancellazione del voto di lista dalla legge elettorale per la Camera. Una scelta arrivata molto in fretta, dopo appena un giorno di camera di consiglio e resa nota dalla Consulta ieri sera con uno scarno comunicato. Per conoscere le motivazioni che, per la cinquantesima volta, ammettono una richiesta referendaria, bisognerà attendere una decina di giorni perché, come scrivono i giudici: “è in corso la redazione della sentenza”. Ma una volta tanto, dal palazzo della Consulta, si fa capire che è stato tutto molto facile, semplice.
La scelta della Corte costituzionale manda in archivio settimane e settimane di polemiche sulle presunte pressioni sui giudici, interrogazioni parlamentari sulle “interferenze” politiche e sulle dichiarazioni contrarie al quesito di alcuni ministri. Ma la velocità della decisione, facilitata anche dalla circostanza che si trattava di decidere su un solo quesito, conferma che i quindici membri della Consulta, pressioni o non pressioni, hanno fatto di testa loro. D’altra parte, la giurisprudenza della corte e la stessa formulazione del quesito, li inchiodavano ad un verdetto favorevole che è arrivato senza grandi problemi, a larga maggioranza. E del resto dalla stessa corte si ricorda che quattro precedenti, i referendum Segni del 91 e 93 e quelli riformatori del 95 e 97, non lasciavano dubbi.
Il presidente Renato Granata, che ieri non ha pranzato a
casa, primo piccolo segno dell’imminente decisione, dopo la relazione e il parere favorevole del relatore Riccardo Chieppa, non ha fatto altro che registrare la maggioranza dei sì e, visto che il dibattito risultava approfondito ma sterile (nel senso che i contrari, forse solo uno, non si lasciavano convincere) ha deciso di mettere ai voti l’ammissibilità. Dei sì e dei no non conosceremo mai nomi e motivazioni. La nostra legislazione, infatti, non consente di rendere esplicita la “dissenting opinion” e sembra proprio che, come nei conclavi vaticani, il foglietto con il risultato verrà bruciato.
La Consulta ha così ripassato la palla ai partiti che adesso hanno davanti due scenari: modificare la legge in Parlamento ed evitare così il referendum o aspettarne l’ esito. Il primo scenario deve fare i conti con il poco tempo a disposizione.  A termini di legge, infatti, gli italiani devono andare alle urne per votare il referendum in una domenica compresa fra il 15 aprile e il 15 giugno. Ma nella prossima primavera il calendario elettorale prevede già l’appuntamento del 13 giugno con elezioni amministrative ed europee. Le campagne elettorali inizieranno alla fine di aprile, quando è previsto anche l’ avvio delle procedure per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Elementi che fanno pensare si possa andare a votare domenica 18 aprile. Una data che vide trionfare, nel ‘93, un altro referendum targato Segni, quello che diede la prima spallata alla proporzionale e aprì la strada all’ approvazione del “Mattarellum”, la stessa legge, cioè, di cui oggi si chiede l’abrogazione.
Una data che però lascia poco spazio ai partiti e alle manovre per varare una nuova legge. A meno di un grande accordo che non si vede all’orizzonte. Accordo in cui speravano i proporzionalisti che puntavano sul voto negativo della Consulta. Adesso l’ipotesi di un ritorno al passato, magari attraverso l’adozione del modello elettorale tedesco, sembra accantonata. 
E qui si apre il secondo scenario: votare e poi vedere cosa succede. Ma questa strada si intreccia con l’elezione del presidente della Repubblica, la proposta di riforma di Giuliano Amato, il risultato delle europee, la stabilità del governo. Troppe variabili. E in caso di vittoria del “sì”, sono già nate due scuole di pensiero: chi vuole mettere le mani, adesso o dopo, nella legge elettorale e chi pensa che il sistema che uscirà dal voto sia un buon sistema. Alla prima scuola si iscrivono Massimo Villone dei Ds ed Enrico La Loggia (Fi), alla seconda Paolo Armaroli di An.