Divisi
sul diritto di sapere
da La Repubblica del 20.6.98
Adozioni internazionali, polemica tra le associazioni
nostro servizio
ROMA (m.n.d.l.) - La nuova legge sulle adozioni internazionali appena
varata dalla Camera ha spaccato in due il mondo di chi si occupa di bambini
senza famiglia. Attenzione: non l’impianto complessivo della legge
che anzi snellisce gli iter burocratici e ostacola duramente tutti i procedimenti
di adozione fai-da-te, o peggio di compravendita mascherata di minori dai
paesi poveri.
No, è il diritto alla conoscenza delle origini che divide le
associazioni, quel diritto per un figlio adottivo di poter richiedere una
volta maggiorenne i documenti con i nomi dei genitori naturali. Da una
parte ci sono alcune associazioni “storiche” come l’Aibi, che hanno contribuito
a scrivere la legge e che da sempre hanno difeso questa possibilità,
o la comunità “Giovanni XXIII”, diretta da don Oreste Benzi, che
ieri ribadiva “il diritto inalienabile della persona a conoscere le proprie
origini e i propri genitori naturali”. Dall’altra parte un’istituzione,
anch’essa storica, l’Anfaa, l’ associazione famiglie adottive affidatarie,
che si è sempre battuta contro questo passaggio della legge, e insieme
a loro il “Gfa”, il gruppo figli adottivi adulti. Spiega Ja Gosso, trent’
anni, nata in Corea, e adottata quando aveva tre anni: “Per noi del “Gfa”
questa legge è davvero sbagliata. Per chi è stato abbandonato
e cresciuto da genitori non biologici che bisogno c’è di andare
a ricercare persone che hanno deciso di non allevarlo? Per trovarsi magari
di fronte a situazioni terribili, essere coinvolti in legami che non esistono
più, ma mantengono soltanto il vincolo del sangue? Un conto è
andare alle origini, conoscere la propria storia, il paese da cui si proviene.
Un conto è cercare quel nome e quel cognome... Io ho visto delle
tragedie in miei amici adulti, nemmeno diciottenni come prevede la legge,
che poi non sono mai più riusciti a superare lo choc di quell’incontro”.
“Le norme attuali - continua la Gosso - la legge 184, prevede già
la possibilità, in casi eccezionali, che i figli adottivi possano
richiedere i propri documenti, l’estratto di nascita insomma. Quello che
noi contestiamo è che invece venga concesso come diritto. A diciotto
anni poi un ragazzo è ancora in piena crisi adolescenziale...”.
Una verità troppo forte da sostenere dunque. La psicologa Maria
Rita Parsi afferma, invece, il contrario. “Mi sono convinta dell’importanza
del diritto a sapere seguendo tanti casi di bambini adottati. E analizzando
poi quello che nei secoli è stato il pensiero dominante dell’uomo:
chi sono, da dove vengo... Il figlio adottivo vuole sapere da dove proviene,
e per fortuna ormai i genitori dicono sempre la verità anche a bambini
adottati in culla e che dunque potrebbero anche non avere ricordi di un
prima. Noi non possiamo negare questo diritto, anche se credo che molti
ragazzi che hanno un buon rapporto con i genitori adottivi non ci penseranno
proprio di andare a ripescare i documenti con i nomi dei genitori biologici”.
A volte però il passato può fare troppo male, e aprire
quelle porte può causare traumi difficili da capire ed elaborare.
“Sì, è vero - ammette la Parsi - e per questo la legge prevede
molti se prima di concedere i documenti. C’è una commissione, c’è
un giudice che dovrà valutare caso per caso. E’ chiaro, ci sono
situazioni così terribili che a volte il silenzio è la scelta
migliore... E’ vero però anche il contrario. E cioè
che per curare ferite profonde del cuore e della psiche si deve risalire
ad origini lontane, a mali dimenticati. Così, tirare fuori
da un cassetto un foglio che racconta fatti ignoti alla persona che ne
porta i segni, può aiutare, a volte, ad uscire dai buchi neri della
sofferenza”.
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