L’inutile
severità delle sanzioni penali
da Il Sole 24 ore del 20.5.98
In tema di sicurezza sui luoghi di lavoro si deve sovente constatare
come vengano ribaltate le regole di logica applicate pacificamente in molti
altri campi. Nessuno oggi penserebbe seriamente, né con la speranza
di un qualche miglioramento prevenzionistico, di proporre sanzioni penali
indiscriminate per le violazioni delle regole della circolazione stradale,
nonostante esse provochino un numero di incidenti e di decessi impressionante.
Stando alle aride cifre, la dimensione del fenomeno infortunistico derivante
dalla circolazione stradale è dieci volte più grave di quello
della infortunistica del lavoro. Anzi, quasi nessuno sottolinea che, dalle
statistiche relative ai decessi per cause lavorative, si ricavi come all’incirca
un terzo degli stessi sia da addebitare comunque alla guida.
Da un punto di vista squisitamente sociale non è poi accettabile,
se non per faziosità ideologica, che si possa ritenere assai più
grave una mancata pausa al videoterminale (che, senza rischi reali per
la salute, è sanzionata con arresto fino a sei mesi o con ammenda
sino a otto milioni!) del mancato rispetto di una precedenza (che, nonostante
i rischi per la vita cui può esporre, è sanzionata con sanzione
amministrativa massima di quattrocentosettantamila lire).
Appare quindi del tutto singolare, e anche un po’ sospetta, la sistematica
e demagogica indignazione che si solleva in qualunque occasione in cui
si prospetti di modificare alcune sanzioni in tema di sicurezza del lavoro
da penali in amministrative. Ciò senza — si badi bene — far venire
meno le «punizioni», ma adottando uno strumento giuridico diverso,
da molti ritenuto assai più efficace sul piano prevenzionistico
di quello ormai spuntato e controproducente del ricorso alla sanzione e
alla giustizia penale. Ma prima di qualche valutazione tecnica, occorre
chiedersi chi e perché ha paura della depenalizzazione. Non
dovrebbe lamentarsi di tale proposta chi ha a cuore l’efficacia e l’efficienza
dell’azione penale, azione peraltro obbligatoria solo sulla carta, quando
viene a interessare fenomeni generalizzati e quotidiani come le attività
lavorative. Ai fini di un reale snellimento dei procedimenti penali non
si è rivelato di alcun reale sollievo l’istituto della «prescrizione»,
il quale non solo ha radicato proprio nel procedimento penale le ispezioni
— depenalizzando solo l’eventuale obbedienza — ma ha, di fatto, reso inoppugnabili
— se non in un eventuale dibattimento penale tutte le indicazioni dei pubblici
ministeri e degli ufficiali di polizia giudiziaria.
Non dovrebbe essere contraria a una depenalizzazione soprattutto la
Pubblica amministrazione competente in materia, la quale, se fosse affrancata
dall’obbligo di riferire sempre e comunque al magistrato penale inquirente,
potrebbe svolgere realmente e legittimamente un ruolo attivo e consultivo
discrezionale, che di fatto oggi le è precluso dalla presenza esclusiva
di ipotesi di reati penalmente sanzionati, di competenza, quindi, della
magistratura.
Non dovrebbero essere contrarie le parti sociali, datori di lavoro
e lavoratori, perché un carico minore di sanzioni, specie di tipo
penale, rende sicuramente più percorribile quel «dialogo sociale»,
vero motore della migliore prospettiva prevenzionistica.
Questa strada è anche quella fortemente voluta dalla regolamentazione
comunitaria ed è quella più diffusa tra i Paesi europei che,
però, nei recepimenti italiani, è stata apertamente osteggiata
o stravolta, continuando a proporre il metodo «comando e controllo»,
basato su obblighi, divieti e sanzioni.
È quindi abbastanza desolante dover constatare che una «minoranza
rumorosa» animata da pregiudizi e sovente con scarsa competenza specifica,
sia stata sinora implacabilmente contraria a qualunque ipotesi di depenalizzazione
in materia di sicurezza, senza rappresentare su tale posizione altri interessi
che non fossero i propri punti di vista e le proprie convenienze, vuoi
economiche, vuoi di notorietà, vuoi di ruolo. È poi
sorprendente che costoro ottengano nella materia della sicurezza sul lavoro
un credito diffuso, anche se suffragato soprattutto da valutazioni superficiali,
che è inversamente proporzionale alla reale efficacia di ciò
che propugnano. Spesso poi questo credito è ottenuto avvalendosi
di una sistematica opera di sciacallaggio, che scatta puntuale in qualunque
occasione si verifichi un incidente sul lavoro. Se invece consideriamo
che, in senso assoluto, l’Italia già possiede la legislazione più
vincolistica in Europa e nel mondo — avendo stravolto e peggiorato persino
le direttive comunitarie — e che è da sempre assistita dalla massima
deterrenza penale come in nessun altro ordinamento — essendo previste per
ogni genere di violazione una sequenza infinita di sanzioni penali, quasi
tutte con pena detentiva —non può non stupire l’insistenza nell’invocare
proprio il massimo rigore formale e penale come strumento dell’accrescimento
e della diffusione della sicurezza.
Questo rigore si è infatti rivelato una ricetta dai risultati
del tutto insoddisfacenti: stupisce l’impudente incoerenza di chi denuncia
insistentemente un deficit di sicurezza sul lavoro, ma continua a voler
perseguire anzi vorrebbe amplificare e inasprire, gli stessi strumenti
sinora usati.
Da un punto di vista tecnico, occorrerebbe al contrario limitare fortemente
la proliferazione di sanzioni penali, riducendo la loro funzione ai soli
casi di pericolo più grave e diretto, oltre ai casi di responsabilità
per danno. Colpendo con sanzione penale l’inadempienza a obblighi burocratici
e formali o di minima rischiosità, non solo non si migliorano le
performance o gli standard di sicurezza sui luoghi di lavoro, ma si genera,
per contro, quel clima di neoproibizionismo, di «guardie e ladri»,
che è l’esatta antitesi di tutte le più convincenti teorie
sulla prevenzione e sul miglioramento.
Se poi le statistiche, sovente esagerate e inveritiere, sulla gravità
del fenomeno infortunistico del lavoro riescono a esprimere tendenze indiscutibili,
queste sono: dimostrare che in Italia gli infortuni, specie quelli mortali,
sono comunque in netta diminuzione e che stanno un po’ meglio di noi solo
le nazioni che hanno sistemi privi di sanzioni penali e magistrati preventori,
che usano maggiormente regole condivise diffuse, valorizzando cultura e
dialogo sociale.
Riccardo Rosi
Vicedirettore Unione Industriale
di Torino
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