«Andrebbero criminalizzati i magistrati ma nessuno ha il coraggio di attaccarli»

da Il Corriere della sera del 20.5.98

Telefonata del Viminale al Guardasigilli: non possiamo permetterci più
queste cose

Francesco Verderami, 
ROMA - Domani è un altro giorno. Ieri nel frattempo - in attesa che il ministro Flick riferisse alla Camera sulla fuga del boss di Siculiana - alcuni deputati del Polo decidevano di anticipare il dibattito discutendo in Transatlantico con Vincenzo Siniscalchi, famoso avvocato penalista prima ancora che parlamentare della Quercia. «Dopo Gelli e Cuntrera, sarebbe ora che andasse via anche Napolitano», diceva Landolfi di An. «Voi volete criminalizzare Napolitano - rispondeva Siniscalchi - ma la verità è che andrebbero criminalizzati i magistrati. Dopo queste fughe vorrei sapere cosa ne pensa Davigo, cosa ne pensa Borrelli, cosa ne pensano costoro che si considerano perfetti. Il problema è che nessuno se la sente di attaccarli, perché tutti vogliono tenersi protetti». 
Siniscalchi parla del mondo dei togati perché lo conosce da vicino, «e non ci vuole molto per capire come lavorano. Quelli della Cassazione fanno un’udienza a settimana. Alla corte di Appello di Napoli iniziano a lavorare alle dieci e se ne vanno a mezzogiorno, tranne prendersela poi con il cancelliere... E allora, quando le cose stanno così, che senso ha prendersela con un ministro?». «Hai ragione - riprendeva Landolfi - ma tu sai benissimo che se Gelli e Cuntrera fossero scappati durante il governo Berlusconi ci avreste massacrati». «Lo so, lo so - annuiva Siniscalchi - Mussi ha detto proprio così all’ultima riunione del gruppo parlamentare. Ecco perché non gli va giù quest’ultima umiliazione. Mussi è intellettualmente onesto: dopo la tragedia in Campania, per esempio, ha ammesso che anche noi abbiamo delle responsabilità per quello che lui ha definito “l’abusivismo rosso”. Mi ricordo che l’ha definito “abusivismo di necessità”...». 
Domani è un altro giorno. Ieri nel frattempo il governo ha potuto aggiornare le statistiche sui condannati che si danno alla fuga e non scontano la pena, «una statistica dai numeri impressionanti», ammette sconsolato il sottosegretario alla Giustizia Ayala: «Solo che trattandosi di sconosciuti, la cosa finora non aveva suscitato clamore. Ma la falla c’è, ed è enorme». Ora che Licio Gelli e Pasquale Cuntrera hanno portato agli onori della cronaca quella statistica, il Palazzo chiede al governo di assicurare al più presto alla galera non solo il Venerabile e il boss mafioso ma anche due ignoti sequestratori sardi, condannati a vent’anni ciascuno, e che speravano di far passare inosservata la loro latitanza. 
L’ennesima giornata nera del governo sul fronte della lotta alla criminalità causa forti tensioni tra Flick e Napolitano. Raccontano come ieri il ministro dell’Interno fosse furibondo per «l’ennesima figuraccia» che coinvolge «il mio dicastero per responsabilità non sue». Già perché anche ieri - così come per Gelli - Napolitano ha difeso la polizia e i servizi, nel corso dei colloqui con altri esponenti dell’esecutivo: «Se noi fossimo intervenuti in assenza di un atto della magistratura avremmo commesso una forzatura, ci saremmo posti al di fuori della norma». Insomma, il Viminale non c’entra nulla. Il ministero della Giustizia, piuttosto... 
E Napolitano - a quanto si sa - non le ha mandate a dire al Guardasigilli. Anzi, per telefono gli ha espresso tutta la sua indignazione: con la misura verbale che gli appartiene, ma con parole pesanti come macigni. «Questa incapacità di dialogo tra noi e l’autorità giudiziaria è inammissibile», ha esordito il ministro diessino: «Caro Flick, non ci possiamo più permettere certe cose. Queste sfasature vanno ricomposte». Già dopo la fuga di Gelli i due esponenti del governo si erano incontrati, e già allora avevano ragionato sul rimedio legislativo. Da allora - sul tavolo dei tecnici dei due ministeri - c’è una soluzione che impedirebbe la fuga tra una sentenza di condanna e l’intervento degli organi di polizia. «Ma se a livello normativo c’è bisogno di tempo - ha chiosato Napolitano al telefono - che ci sia almeno un coordinamento tra i nostri due ministeri. Altrimenti certi fatti incresciosi si ripeteranno». 
Domani è un altro giorno. Ieri nel frattempo la «fuga di massa» ha destato «imbarazzo e sconcerto» tra i partiti di maggioranza. In particolare dentro la Quercia. Ai tempi della fuga di Gelli, il rapporto di fiducia con l’esecutivo si era incrinato perché gli uomini di Botteghe Oscure avevano detto che «la misura era colma». Ora che è scappato anche Cuntrera, persino Salvi misura le parole, perché non può dire che la goccia ha fatto traboccare il vaso. Altrimenti succederebbe l’irrimediabile. Ma di dimissioni dei ministri nessuno ne parla formalmente nel centro-sinistra. Anche se in tanti vorrebbero farlo e qualcuno - come il verde Paissan - chiede quantomeno di avere «delle risposte certe, visto che siamo al governo». Nel frattempo l’esecutivo va avanti, tra litigi sommessi sulle nomine e sfuriate pubbliche sui provvedimenti di legge. Ieri il ministro della Sanità è uscita infuriata dall’aula perché non aveva ottenuto dalla Camera l’approvazione della sua delega. E nella foga, in pieno Transatlantico, Rosy Bindi ha mandato letteralmente (e ad alta voce) a quel paese i suoi amici di partito.  Capita anche questo nel giorno della «fuga di massa» che ironicamente fa dire al ds Fumagalli: «In fondo questa è la dimostrazione che in Italia non c’è un regime». Domani è un altro giorno per il governo dell’Ulivo.