Sì della Camera al ddl sulle sanzioni per i dipendenti pubblici condannati con una sentenza definitiva 

da La  Stampa del 20.5.98

Bassanini: denunciate chi rifiuta le autocertificazioni 

ROMA. “Denunciate gli impiegati pubblici che non accettano l’autocertificazione.  Saranno richiamati e puniti a dovere”. Chiarissimo e durissimo: è il monito del ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini che - parlando davanti alla Commissione Affari costituzionali della Camera - non ha esitato ad indicare ai cittadini di ricorrere a vie legali, di fronte ai burocrati che non si pieghino al diktat dell’autocertificazione, imposto dalla legge Bessanini (127 del ‘97).  “Solo a Roma - ha raccontato il ministro per dimostrare i risultati della sua strategia di snellimento della burocrazia - con l’introduzione dell’autocertificazione, la richiesta di certificati è diminuita del 41%. Ma non siamo a regime: dovremmo raggiungere almeno quota 70%”.
Ciò detto, il ministro medesimo ha introdotto poi una clausola che - di fatto - annulla l’effetto intimidatorio della possibile dununcia: “In caso di rifiuto dell’autocertificazione, fate mettere tutto per iscritto. Solo così la denuncia sarà possibile”.
Dunque immaginiamoci la scena: un cittadino va al comune di Pizzighettone di Sotto e, invece di presentare il fascicolo dei certificati per la pratica che intende istruire, propone l’autocertificazione. Il dipendente pubblico che ha di fronte rifiuta, dicendo che non ci sono i moduli. Il cittadino replica che l’autocertificazione si può fare anche su carta semplice. Ma l’impiegato ribadisce che lui non accetta una simile pratica. Il cittadino torna all’attacco: “Io ti denuncio, come mi ha invitato a fare il ministro Bassanini, ma tu devi mettermi per iscritto che non accetti l’autocertificazione”. Il dipendente si fa una ricca risata, manda a quel paese il cittadino (tanto non ci sono testimoni) e tutto torna come ai tempi della burocrazia borbonica.
Ma questo è un caso ipotetico. Facciamone invece uno vero, di cui il cronista è testimone: al tribunale civile di Roma un autocertificato di residenza non è stato accettato, o meglio, è stato consigliato di non presentarlo. “Io glielo prendo - ha detto il gentile impiegato - ma poi il dott. xxx (e ha citato il superiore) rimanderà indietro tutta la pratica e lei perderà tre mesi”. Figurarsi se il dottor XXX sarebbe stato disposto a mettere per iscritto questo suo sopruso.
Peraltro - come il ministro della Funzione pubblica sa bene - l’autocertificazione non viene accettata e non da ora. Infatti non è una creatura dell’attuale ministro, ma un istituto presente in Italia da trent’anni (legge numero 15 del 1968).  Quella legge stabilisce che ogni cittadino può autocertificare: nascita, residenza, stato civile (celibe, sposato ecc.), cittadinanza, esistenza in vita, stato di famiglia, nascita del figlio, posizione agli effetti dell’obbligo militare, decesso del coniuge, di un genitore o di un figlio, godimento dei diritti politici, iscrizione ad albi tenuti dalla pubblica amministrazione.
Gli autocertificati devono essere accettati da tutti gli uffici pubblici: Stato, Regioni, Comuni, Province, Usl, scuole, tribunali, uffici militari. L’accettano anche molte aziende private, così come la rifiutano tantissimi uffici pubblici.  Ma adesso arriva il castigamatti (forse): ieri la Camera ha approvato in prima lettura il disegno di legge in base al quale un dipendente pubblico che abbia commesso un reato connesso alla sua funzione può essere licenziato dopo la sentenza definitiva, ma può essere trasferito d’ufficio o sospeso subito dopo la sentenza di primo grado. Alla novità saranno interessati tutti i dipendenti pubblici, compresi quelli degli enti locali e sarà applicata a tutti coloro che, al momento dell’entrata in vigore della legge, avranno procedimenti penali o disciplinari in corso.
Raffaello Masci