Scontro sul 513 alla Consulta

da La Repubblica del 20.5.98

di SILVANA MAZZOCCHI
ROMA - La sentenza della Corte costituzionale non ci sarà prima di metà giugno, ma la questione dibattuta ieri in udienza pubblica alla Consulta è di quelle destinate a influire su una quantità di processi in corso di dibattimento, Tangentopoli e criminalità organizzata comprese. Oltre trenta magistrati d’Italia si sono opposti al nuovo articolo 513 del codice di procedura penale e alle altre norme che disciplinano le dichiarazioni rese dall’imputato durante le indagini preliminari. 
Da circa un anno, da quando sono state varate le nuove regole, le dichiarazioni che non vengano ripetute nel contraddittorio dibattimentale, non possono venire utilizzate dai giudici. Una mannaia per quei collaboratori di giustizia che, qualora non si presentino in dibattimento a ripetere quanto detto, potrebbero perdere il diritto al programma di protezione. I pubblici ministeri che si sono rivolti alla Corte hanno sostenuto che la nuova norma viola i principi costituzionali perché crea disparità tra i cittadini e “disperde” materiali utili al processo. E per la prima volta, nell’aula delle udienze della Consulta, è comparso uno di loro, il
procuratore aggiunto di Torino Marcello Maddalena, a sostenere le ragioni dei ricorrenti. A sostegno della legge si sono espressi l’avvocatura dello Stato per la Presidenza della Repubblica e i difensori (dodici) degli imputati coinvolti nei processi che hanno dato origine alle eccezioni di costituzionalità.
L’udienza di ieri si è aperta con la relazione di Guido Neppi Modona. Cinque i quesiti in discussione (gli altri verranno in gran parte risolti dalla prossima sentenza della Corte).
Appassionato l’intervento di Maddalena. Non si può tutelare il diritto di difesa- ha detto- fino al punto di ledere il diritto-dovere del pubblico ministero di acquisire le prove.  “Il nuovo 513 - spiega il procuratore fuori dall’aula-determina delle ingiustificate disparità di trattamento tra i cittadini”. Maddalena ricorda la serie di decisioni prese dalla Corte negli scorsi anni, in difesa della vecchia versione del 513 (l’ultima sentenza è del 1995). “Tutte affermano che lo scopo del processo è quello di capire come si sono svolti i fatti. E quindi non si possono accettare regole che impediscano l’acquisizione di materiali legittimamente raccolti”.
Di opposto parere gli avvocati. “Siamo schierati per sostenere le ragioni di un codice basato sul contraddittorio”, dice Vittorio Chiusano. Lapidario Gaetano Pecorella, in transito dalla Presidenza delle camere Penali alla candidatura come parlamentare di Forza Italia, in sostituzione di Achille Serra. “La ragione centrale per cui abbiamo tanto lottato a favore della riforma del 513 è la stessa per cui oggi consideriamo decisiva la prossima sentenza della Corte. Qui si decide se nel processo deve rimanere il contraddittorio tra le parti. E noi siamo convinti che un processo penale senza contraddittorio, faccia venir meno la regola principe della civiltà occidentale”.
Adesso la parola passa ai quindici giudici costituzionali.  Sarà il relatore Guido Neppi Modona a raccogliere i loro orientamenti e a scrivere la sentenza, che prima di essere emanata passerà ancora al loro vaglio.