Violante: per la corruzione non è possibile l'amnistia 

da La Repubblica del 20.11.99

di MASSIMO GIANNINI 
ROMA - Una "grande conciliazione nazionale". Ecco la proposta di Luciano Violante per uscire da Tangentopoli e riscrivere la storia italiana degli ultimi 50 anni. Il presidente della Camera, in questa intervista, tronca ogni ipotesi di amnistia per i reati di corruzione, ma apre le porte a una soluzione politica per il finanziamento illecito, con una legge che poi dovrebbe passare al vaglio degli elettori con un referendum. E non risparmia un giudizio severo sulla campagna di riabilitazione dei personaggi della Prima Repubblica. A partire proprio da Craxi. 
Presidente, prima le due sentenze su Andreotti, adesso la malattia di Craxi. Il clima politico in Italia è cambiato? 
"Questioni di questo peso fanno riflettere sugli anni 80 e 90, e non possono non avere un forte impatto nell'opinione pubblica. Ma le due vicende sono distinte. Il senatore Andreotti era imputato per omicidio e mafia ed è stato assolto da entrambe le imputazioni. Bettino Craxi è condannato con sentenze definitive e sta male". 
Berlusconi ha auspicato un intervento diretto di Ciampi in favore del suo "amico Bettino"..
"Se l'ipotesi alla quale si pensa è quella della grazia, non ho nulla da dire perché è questione che riguarda esclusivamente le prerogative del Presidente della Repubblica. In generale, penso che in uno Stato di diritto l'imputato Craxi abbia gli stessi diritti di qualsiasi altro imputato; non di più né di meno. E su questo bisogna essere attenti...".
Attenti in che senso?
"Sul piano giuridico, Craxi ha subito sentenze di condanna definitiva. Contro le sentenze definitive si può chiedere la revisione dei processi: guardi ad esempio il caso Sofri. Nello Stato di diritto ci sono strumenti specifici a disposizione del cittadino in un quadro di rispetto delle regole, senza le quali lo Stato di diritto non esisterebbe più".
Infatti lui dice: o torno da uomo libero, o non torno.
"Io capisco l'amarezza di chi, dopo essere stato un leader di statura internazionale, è stato condannato ed è sotto processo per quel tipo di delitti. Ma fuori delle regole dello Stato di diritto si tratterebbe di un'inspiegabile pretesa di impunità, una forma di "giustizia privata personale". In uno Stato di diritto ciascun cittadino deve avere la certezza che non si sta commettendo una "restaurazione ad personam", ma si stanno usando, anche per correggere sentenze definitive, o per garantire la libertà a chi si ritiene la meriti, gli strumenti che lo stesso Stato di diritto riconosce e regola".
Su Craxi c'è anche un versante umanitario, no? 
"Certamente. E' giusto che si curi dove meglio crede. Ma non è dignitoso, neanche per lui, che si usi la malattia come un argomento per discutere del giudizio politico sulla sua figura. Quella discussione si può fare, ma senza usare la malattia". 
C'è anche chi, come Casini, parte da Craxi per chiedere un'amnistia vera e propria sulla Prima Repubblica. Che ne dice? 
"L'amnistia è costituita da una legge del Parlamento e da un decreto del Presidente della Repubblica. Non c'è nulla di tutto questo". 
E cosa c'è, invece?
"Più che di amnistia, forse c'è una sorta di "amnesia". Da un lato il desiderio di cancellare in un colpo solo i fatti storici. Dall'altro lato, continua a regnare un clima di vendette reciproche, di litigio, di scontri, che fa apparire il nostro Paese meno serio di quello che è, che lo frena e lo distoglie dai suoi obbiettivi prioritari interni e internazionali. Per questo, oggi, io vorrei che si potesse riflettere su una proposta: in questo Paese c'è bisogno di aprire prima di tutto una prospettiva di "conciliazione"". 
Che intende per conciliazione?
"E' la decisione di parlarsi e di ascoltarsi sulle vicende del passato. Ciascuno deve dire tutta la sua verità e deve avere la forza di ascoltare quella degli altri, che può anche essere molto sgradevole. Questo difficile dialogo deve cominciare tra forze politiche e in una sede politica, io penso in Parlamento, per coinvolgere poi la società civile". 
Perché serve una "conciliazione" del genere?
"Perché senza questa prospettiva non c'è nessuna possibilità di sciogliere i nodi politici né di risolvere le questioni giudiziarie. "Soluzioni" giudiziarie in questa materia, scisse da una conciliazione politica, ammesso che ci possano essere, non ci farebbero uscire comunque dall'impasse in cui viviamo. Non a caso, dove si è posto un problema di conciliazione, sia pur in termini assai più drammatici, e penso al Sudafrica, all'Algeria, alla Colombia, i due aspetti, quello giudiziario e quello politico, sono sempre stati strettamente connessi. Solo se si affrontano congiuntamente, la politica non fa invasioni di campo senza delegare agli altri la soluzione dei suoi problemi, e la giustizia ritrova i margini per sciogliere con formule efficaci e condivise i nodi del passato".
Questo esigenza si è però sempre scontrata con il rispetto del principio di legalità. Non altrettanto irrinunciabile? 
"Certo che lo è. Infatti la conciliazione, dove si è attuata e dove si sta attuando, non è incompatibile col principio di legalità. Anzi, ne consente la piena attuazione. Il rispetto della legalità è l'unica strada per la modernità e la competitività. Un Paese non è competitivo se non si ancora a principi solidi, chiari e assolutamente indiscutibili di legalità. Il fatto che l'Italia sia considerata tuttora molto in basso nella classifica dell'Istituto di trasparenza internazionale sulla corruzione non rende ancora appetibile il nostro Paese. La legalità è un bene di tutti".
Chi sono i soggetti che dovrebbero conciliarsi e intorno a che cosa dovrebbero farlo? 
"Non credo che l'orizzonte della conciliazione debba essere limitato agli ultimi 20 anni. Ma è tutta la storia degli ultimi 50 anni che va riletta. Siamo il Paese in cui appartenere a un partito che aveva concorso ad abbattere il nazifascismo e a costruire la Repubblica è stato causa di licenziamento. C'è una storia di movimenti di contadini e di operai che sono stati ingiustamente repressi, di stragi impunite e di cittadini massacrati nelle stazioni e nelle piazze, di tristi primati su attentati, magistrati e poliziotti uccisi...". 
La nostra, lei vuol dire, non è solo una storia di tangenti... 
"Appunto. E' una storia complessa, che va ripresa in mano e risolta. Fatti anche gravi, come alcuni episodi del '68, sono stati chiusi anche con amnistie. Ma nessuna amnistia c'è mai stata su fatti di corruzione...".
Si fermi: lei sostiene quindi per principio che la corruzione non può essere "amnistiata"?
"E' così. La corruzione sta ai reati patrimoniali come l'omicidio sta ai reati contro la persona. Non mi pare possibile l'amnistia, per la corruzione. Nessun Paese l'ha mai fatto, se non là dove i corrotti sono saliti al potere. Ma quello è un caso di auto-assoluzione, e non di amnistia".
Torniamo alla "conciliazione": coincide con la commissione d'inchiesta? 
"E' qualcosa di più. Ciascuna della parti politiche dica la sua verità, anche se confligge con quella degli altri, che a loro volta devono avere la forza di ascoltare. Alla fine del percorso i cittadini conosceranno le verità di tutti. Le Commissioni di inchiesta, gli approfondimenti degli storici, le ricostruzioni dei giornalisti, saranno utili: ognuno dia il suo contributo, per giudicare le vicende degli ultimi 50 anni di storia e chiuderle una volta per tutte, in un contesto unico e in una sede autorevole. Anche perché, in caso contrario, avremo sempre un bidello qualsiasi che si presenterà con un "nuovo" foglio di carta, e i casi Mitrokhin non finiranno mai più".
Lei quindi, prima della Commissione d'inchiesta chiede alle forze politiche una grande operazione- verità?
"Io chiedo che ognuno apra i propri cassetti, svuoti i propri armadi, racconti la propria versione dei fatti. Qualunque essa sia. Qualcuno dice che gli italiani non vogliono più pagare la "tassa sull'anticomunismo", e che il finanziamento illecito dei partiti è servito per fronteggiare il Pci. Può darsi che sia vero. Ma lo si dica in una sede autorevole e lo si spieghi. Si parli delle questioni relative ai rubli e di quelle relative ai dollari, con tutte le necessarie differenze. Si parli delle coperture di pubblici funzionari ad alcuni autori di stragi. Si parli delle tangenti, dei finanziamenti illeciti. E di tutto il resto. Da parte di tutti".
Un'altra accusa ricorrente all'ex Pci è di aver gestito insieme al Pool di Milano la rivoluzione di mani pulite, proprio per sovvertire il "regime" Dc-Psi...
"E' una visione complottistica della storia. Ed è infondata. Mi sembra che stia emergendo un "giacobinismo di destra", quello di chi tende a dire "la vera storia è la storia dell'imbroglio". Ma spesso questa è una storia che non si fonda sui fatti, ed è quella di chi vuole dimostrare che Mani Pulite fu solo un complotto, e che la corruzione non è mai esistita. Non è così. Chi ne vuole una prova si chieda perché, oggi, il completamento di Malpensa costa 1990 miliardi mentre ne costava 5.000 alla fine degli anni '80?".
Lei quindi chiama all'appello il vecchio apparato Dc-Psi? 
"Io chiamo all'appello tutti, a partire dal partito cui sono iscritto. Alla fine degli anni '70 il Pci ebbe il coraggio di lottare contro le Br respingendo l'uso della violenza, contribuendo a salvare questa democrazia. Oggi sul tema del malcostume politico servirebbe una riflessione altrettanto coraggiosa da parte di tutti. Ma questa riflessione ancora non la vedo".
Ma a valle o a monte di questa conciliazione non c'è posto anche per una soluzione sul finanziamento illecito ai partiti?
"Intanto le parti politiche, oggi, hanno il dovere di produrre la spinta per la conciliazione tra se stesse e con la società italiana. Questo è il momento in cui la politica può ridare un senso alla vita dei cittadini. Ma i partiti non possono riuscirci se sono lacerati, e se si sfibrano in un quotidiano scambio di vendette".
E allora?
"E allora bisogna ricreare chiarezza e onestà politica. Per questo serve la conciliazione nazionale. Fatta quella si potrà anche affrontare il capitolo del finanziamento illecito e della cosiddetta "soluzione politica". Ma sempre salvando il principio di legalità ed evitando i colpi di spugna. Anche lì non partiamo da zero: ci fu la proposta dei giudici di Milano, poi quella definita dell'Ulivo. Si possono ridiscutere e aggiornare. E alla fine la legge potrebbe essere sottoposta ai cittadini...". 
Lei propone un referendum?
"Sì, perché la legge possa valere solo se i cittadini sono d'accordo. L' importante è che la storia di questo paese si rimetta in moto. Nella conciliazione, e con la legalità. Insieme, si può fare".