Bobbio: il braccialetto?Utile, ma insufficiente

da Il Mattino del 20.9.99

GIAMPAOLO LONGO 
Due indagini sulle autobombe, una minaccia di morte, centinaia di arresti chiesti e ottenuti. Questo per dire che Luigi Bobbio, pm antimafia a Napoli, la criminalità l’ha vista crescere sul campo. L’ha vista reclutare scippatori e rapinatori, allevare piccoli boss di periferia, guadagnarsi il consenso in certe fasce sociali. 
Di fronte a questa nuova ondata di terrore che martella l’area metropolitana il suo giudizio è drastico, netto: il braccialetto elettronico per controllare i detenuti in casa è un rimedio, ma non la soluzione. Bisognerebbe, piuttosto, rifondare il sistema, mettendo subito mano al codice di procedura penale. E invece, accusa Bobbio in un’intervista al Mattino, la politica continua ad avere un atteggiamento «schizofrenico» nei confronti della giustizia, dettato dall’emergenza del momento, più che dalla volontà di risolvere problemi ormai cronici. 
Il sottosegretario Minniti annuncia, in un intervista al nostro giornale, che si sperimenterà il braccialetto elettronico. Che cosa ne pensa? 
«Così come è strutturato il nostro sistema, può essere un utile strumento di controllo nei confronti degli arrestati domiciliari. Permetterebbe di avere un monitoraggio più completo ed efficace dei detenuti in casa, alleggerendo il lavoro delle forze dell’ordine. Ma il braccialetto non è certo la soluzione». 
Perchè? 
«Dobbiamo domandarci se gli arresti domiciliari siano un istituto da tenere in piedi, almeno così come sono strutturati. Io credo proprio di no, e sono d’accordo con quanto ha detto il procuratore aggiunto Palmeri: i domiciliari sono un lusso che non possiamo permetterci». 
Quali interventi andrebbero attuati? 
«Ci stavo arrivando, perché gli arresti domiciliari rappresentano soltanto un aspetto della più ampia questione giustizia. Io mi domando, per esempio: crediamo che la custodia cautelare debba restare nel nostro Paese? Se rispondiamo sì, allora non è più possibile modificarla a seconda del momento, molto spesso in senso favorevole all’indagato o all’imputato». 
Accusa, insomma, la politica, di avere un atteggiamento ondivago sulla giustizia? 
«Sì, io non vedo una linea politica chiara e coerente, che non sia soggetta alla schizofrenia dell’urgenza. Assistiamo a continue corse in avanti e ad altrettante repentine fughe all’indietro su questo o quel problema». 
Non mi ha risposto: quali sono gli interventi da attuare? 
«Bisogna mettere mano al codice di procedura penale, fallito non oggi, ma sei mesi dopo il suo varo. Non è un accusatorio puro e neanche un inquisitorio. Ed è stato talmente modificato che ora non si capisce più che cosa sia. È un codice lento, farraginoso rispetto al dibattimento». 
Gli altri rimedi? 
«In giudizio, lo dico ai colleghi, ma senza spirito di polemica, bisognerebbe ricordarsi che non ci sono soltanto una pena minima e le attenuanti generiche, esiste anche un massimo. Quante volte viene comminato il massimo della pena? Così come bisognerebbe riformare il sistema dell’esecuzione penale, garantendo che la pena venga scontata. Insomma: io vedo che il diritto alla tutela sociale è ancora trascurato rispetto ai diritti degli imputati, degli indagati. Occorre un bilanciamento di interessi». 
Oggi scatta a Napoli un’operazione a tappeto contro motorino selvaggio. Qual è il suo giudizio? 
«Può essere un’iniziativa positiva, ma quest’operazione dovrebbe essere accompagnata da altri interventi contro le mille forme di illegalità, di inciviltà, di violazione delle regole che ancora persistono sul nostro territorio. Bisogna cominciare a ripristinare il senso civico, anche imponendolo, se non c’è altra strada».