Commissione Tangentopoli Cossiga: io sono per il no 

da La Stampa del 20.9.98

BOLOGNA
DAL NOSTRO INVIATO
“Se dovessi scegliere se iscrivermi al partito di Borrelli o a Rifondazione comunista io non avrei dubbi: sceglierei Rifondazione...”. Il paradosso di Francesco Cossiga lascia interdetto il pubblico della Festa dell’Unità. La gente non sa bene se applaudire o fischiare: sceglie il fischio quando il leader dell’Udr cita il suo “amico Forlani”. Ma è una reazione d’istinto, non un ragionamento, e la protesta resta sospesa nell’aria.
Il faccia a faccia tra Cossiga e Marco Minniti, numero due del Pds, si accende quando il dibattito svolta verso il tema caldo della giustizia. “Io voterò no alla commissione d’inchiesta”, replica l’ex Presidente alla domanda diretta di Paolo Gambescia, direttore dell’Unità e conduttore della serata. “E se la maggioranza del mio piccolo partito deciderà diversamente - spiega il fondatore dell’Udr - allora invocherò la libertà di votare secondo coscienza”.
Tra una battuta e l’altra, Cossiga non si limita a definire “inutile e dannosa” la commissione, che finirebbe per diventare “uno strumento di lotta politica degli uni contro gli altri”. Una posizione che nella tarda serata ha trovato l’approvazione di Massimo D’Alema: “Mi fa piacere che anche lui la pensi così. Soprattutto, perché è un uomo super partes”.
Ma per l’ex Presidente è il ruolo stesso di Tangentopoli a dover essere tagliato senza pietà: “Sulla rivoluzione avvenuta in questo Paese ha influito Gorbaciov più di Borrelli - spiega Cossiga - Havel più di Davigo, i rivolgimenti interni alla Repubblica democratica tedesca più di Colombo, le profonde trasformazioni politiche della sinistra, del centro e della destra italiana più che l’intero pool di Milano”. Un lungo preambolo per arrivare a un’idea vecchia e scomoda:
l’amnistia. “Mi rendo conto che nessuno dei leader politici che contano può permettersi di pronunciare questa parola - ammicca l’ex Presidente -. Ma verrà il giorno in cui il Paese si renderà conto che questa è l’unica via per raggiungere la normalizzazione”.
La parola proibita solleva il mormorio della platea, e lui la placa citando Il
Migliore: “Non credo che Togliatti fosse pieno di amore per i torturatori non
particolarmente efferati quando approvò l’amnistia per i fascisti - sorride Cossiga
? . Ma decise di perdonare chi non era perdonabile in nome degli interessi del Paese. Perché una cosa deve essere chiara: non è vero che un’amnistia si fa a favore dei beneficiari, un’amnistia si fa a favore del Paese...”.
Minniti è perplesso. All’inizio del dibattito il vecchio Presidente e il giovane diessino si erano quasi trovati d’accordo nel ribadire ancora una volta che se Rifondazione non vota la Finanziaria la crisi sarà inevitabile. “E se l’avvicinarsi del semestre bianco renderà impossibile il ricorso alle urne - aggiungeva Cossiga - l’Udr prenderà in considerazione tutte le ipotesi, nessuna esclusa, per dare un governo al Paese”. Se non era un’autocandidatura, poco ci mancava. E poco importa che il giorno prima Romano Prodi avesse tuonato contro le “maggioranze marmellata”: “Non è certo a me che si riferiva”, taglia corto l’ex Capo dello Stato.  Il tema della giustizia divide la folla. Cossiga si era anche procurato qualche timido applauso, quando aveva ribadito la sua “simpatia istintiva” per chi aveva cominciato a fare politica “attaccando i manifesti con la colla fatta di farina, quando adesso c’è qualcuno che attacca i quadri d’autore con l’aiuto del maggiordomo...”. Ma sulla liquidazione di Tangentopoli, pochi sono disposti a seguirlo: “I giudici sono cosa diversa dai pm - insiste lui -. E ce ne siamo accorti: al processo per la maxi tangente Enimont, considerato uno dei momenti centrali di Tangentopoli, sono state condannate soltanto due persone. Il primo è un oscuro ragioniere di cui, in questo clima clintoniano, non ricordo altro che la bellissima moglie. L’altro è il mio amico Forlani, che sarà affidato ai servizi sociali...”.  Altre rimostranze del pubblico, e nuova citazione del senatore: “All’assemblea costituente, quando si voleva scrivere che l’ordine giudiziario era sovrano, ci fu chi si alzò e disse: “L’ordine giudiziario non è un potere, può essere autonomo, ma in una democrazia sono sovrani soltanto il popolo e il Parlamento”. E non si trattava di Silvio Berlusconi, ma di Palmiro Togliatti...”. Eccolo, il problema della giustizia per Cossiga: “Riportarla all’applicazione della legge e alla punizione dei responsabili. Il resto, scusate, spetta alla politica”.
Guido Tiberga