Dalla Ue la bussola antidiscriminazione 

da Il Sole 24 ore del 21.9.99

Il dibattito sull’iscrizione agli Albi professionali e sulla disciplina delle relative competenze da parte dei laureati nei nuovi corsi universitari triennali non tiene conto della prospettiva europea.
Infatti i professionisti degli altri Stati membri della Ue titolari di un diploma universitario che prevede un corso di almeno tre anni di studi già oggi possono prestare servizi e stabilirsi in Italia iscrivendosi all’Albo sulla base della direttive comunitarie sul riconoscimento dei diplomi. Senza alcuna limitazione in materia di competenze professionali. È il caso, per esempio, degli ingegneri provenienti dagli altri Stati membri con una formazione universitaria di tre anni, e la cui disciplina ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 89/48/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, relativa a un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di durata minima di tre anni, e del decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 115, attuativo della direttiva 89/48/CEE.
A costoro, per l’iscrizione all’Albo degli ingegneri, per rispettare pienamente il diritto comunitario, viene richiesta solo un’eventuale compensazione se l’equivalenza dei titoli, per la quale si deve peraltro tener conto anche dell’esperienza professionale acquisita, non è totale. I casi sono molti: tra questi quelli del signor Gunther Langer, cittadino tedesco, che, in possesso del diploma di "diplom-ingenieur" ottenuto dopo un corso di tre anni in un politecnico Fachhochschule e iscritto all’Ordine degli ingegneri della Baviera come ingegnere consulente, ha ottenuto con decreto in data 5 settembre 1995 il riconoscimento del titolo. Per avere diritto all’iscrizione all’Ordine gli venne richiesto soltanto un anno di tirocinio controllato. Il signor Matteo Trabacca, cittadino britannico, ha ottenuto, con decreto 26 aprile 1997, il riconoscimento del titolo di "bachelor of engeneering", anche se considerato non "laureato" ma "tecnico diplomato" con un corso di studi ritenuto inferiore di due anni quanto a durata e limitato quanto ad ampiezza e approfondimento dei contenuti formativi rispetto al titolo accademico italiano di ingegnere.
In questi anni gli ingegneri Ue con un titolo universitario di durata almeno triennale hanno dunque potuto esercitare, in base alla direttiva 89/48, la professione in Italia. Invece, i diplomati universitari di ingegneria italiani non hanno potuto accedere all’Ordine.
A questo punto, per non ripetere gli errori del passato che hanno lasciato in stand by i diplomati universitari, occorrerebbe formulare una disciplina guardando a ciò che già avviene in base alla direttiva europea 89/48. Occorre, cioè, prestare attenzione a evitare discriminazioni tra ingegneri europei e futuri laureati triennali italiani dell’area di ingegneria. E sul versante europeo non sembra possibile limitare l’esercizio della professione per i cittadini dell’Ue con titolo triennale, restringendo il campo di competenza in Italia rispetto a quello del Paese di provenienza.
Antonio Preto