Attesa di 4 anni per la prima sentenza 

da Il Sole 24 ore del 21.9.98

Sulle porte del lungo corridoio gli avvisi, scritti a pennarello, ricordano i vecchi tazebao affissi nelle scuole. Invece, nell’architettura austera del Palazzo di Giustizia di Roma, i foglietti, in perfetto stile burocratico, annunciano i rinvii delle cause civili. Di sei mesi in sei mesi. «Tutte le udienze fissate dal 15 aprile al 15 giugno sono rinviate a ottobre». I motivi? Il magistrato è stato “applicato” — cioè è andato a tappare i buchi di organico — a una sezione penale oppure è ammalato o in maternità.  Si comincia a capire, persino con una rapida escursione negli uffici di un Tribunale, perché le statistiche dicono che un processo civile dura, in primo grado, quattro anni in media (“soltanto” due se in Pretura). In Corte d’appello, poi, il tempo per arrivare a sentenza raggiunge i 1.200 giorni (poco meno di tre anni e mezzo). E, una volta infilata con successo anche la Cassazione, al creditore in attesa di vedere soddisfatti i suoi diritti non resta che aspettare i tempi dell’esecuzione. Che toccano i cinque anni. Mentre il processo veloce per eccellenza, quello del lavoro, si attesta sui tre-quattro anni. Ma per un fallimento la media e di sette anni e mezzo.
La risoluzione delle controversie nei Tribunali dello Stato rischia di diventare la tomba dei diritti. Un rischio che spesso non si può affrontare soprattutto quando in gioco ci sono cifre a nove zeri. Ma non solo, per una causa da pochi milioni un cittadino rinuncia in partenza a rivolgersi agli uffici intasati da oltre tre milioni di cause civili (secondo i dati Istat).  Nei labirinti del (dis)servizio giustizia gli inconvenienti sono disseminati ovunque, a partire dal primo atto: può ad esempio succedere che il giorno dell’udienza il fascicolo non si trovi nella cancelleria zeppa di cartellette e faldoni.
Mancano i giudici e la famosa coperta, troppo corta, viene tirata da una parte all’altra. Ormai due anni or sono il ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick, aveva proposto di istituire una sorta di task force, un drappello di 300 magistrati destinati a sostituire i colleghi durante le assenze prolungate. Non se n’è fatto nulla. È andata in porto, invece, la creazione delle “tabelle infradistrettuali”: all’interno dello stesso distretto i giudici e i Pm vengono assegnati anche a più Tribunali contemporaneamente e viaggiano (distanze brevi) tra gli uffici a seconda delle necessità. È previsto che diventino operative dalla ripresa dell’attività, a settembre, dopo la lunga pausa feriale.
Ma la vera operazione di pulizia dell’arretrato che sta uccidendo il processo civile si chiama “sezione stralcio”. Mille giudici “aggregati” (in sostanza onorari, assunti a tempo e pagati a cottimo) dovrebbero smaltire le circa 800mila vecchie cause pendenti davanti ai Tribunali. Il ministero, dopo un monitoraggio, a fine ’97 ha fornito i dati del disagio, meno catastrofici di quelli Istat ma comunque preoccupanti: alle vecchie cause - pendenti al 30 aprile ’95, data di entrata in funzione del giudice di pace - va aggiunto un altro mezzo milione di fascicoli, l’arretrato nuovo. In tutto i Tribunali avrebbero in carico, adesso, un milione 370mila processi civili. 
Però il presupposto dell’operazione di pulizia, vale a dire il reclutamento dei mille “onorari”, è fallito. Le domande troppo scarse hanno finora permesso di nominare solo 257 aggregati. Inizieranno a lavorare, pur a ranghi ridottissimi, dall’11 novembre. Nel frattempo il Governo è ricorso a un decreto legge per ampliare la rosa dei candidati, estendendo ai notai la possibilità di candidarsi ora limitata a magistrati in pensione e avvocati (con pesanti incompatibilità nell’esercizio della professione). Intanto più di un anno è andato perso. Il traguardo dell’arretrato zero si allontana.
Roberta Miraglia