Una spada di Damocle 

da Il Sole 24 ore del 21.9.98

L’affanno con cui, sinora senza successo, si è cercato e si cerca di “uscire da Tangentopoli” non è solo un sintomo delle difficoltà di una classe politica. È anche un fattore di permanente incertezza che pesa sullo sviluppo economico non meno che sulla credibilità delle istituzioni.  Eppure, non è un male che, tra i tanti suoi effetti diretti o indiretti, il “ciclone mani pulite” abbia avuto anche quello di togliere ogni residuo credito al vecchio luogo comune della scarsissima permeabilità che il mondo imprenditoriale presenterebbe di fronte a una magistratura tradizionalmente attrezzata quasi soltanto per colpire delinquenze e devianze di piccolo cabotaggio. Oggi ci si domanda piuttosto se e come sia possibile far convivere l’istanza primaria di una giustizia uguale per tutti — che ha una funzione essenziale anche per l’economia del Paese, specialmente se contribuisce a ridurre drasticamente fenomeni come corruzione, usura, operazioni truffaldine, eccetera — con la necessità di non annichilire lo spirito di iniziativa sotto l’incubo di una continua e multiforme esposizione alla minaccia del processo penale. Tutto questo, pur restando vero che passa anzitutto e soprattutto altrove — e cioè per il riassetto del processo civile e per un più articolato ricorso a procedure alternative per la composizione delle liti — la grossa sfida, sinora largamente perdente per le istituzioni, lanciata a un’amministrazione della giustizia che si vorrebbe capace di rispondere imparzialmente, tempestivamente ed efficientemente anche alle esigenze di una economia sana, competitiva e al tempo stesso lontana dalle leggi della giungla.  Non meno scontato è che larga parte di un innegabile malessere per certi interventi della magistratura penale va fatta risalire a contradditorietà o comunque a scelte discutibili dello stesso impianto normativo. 
Scelte discutibili che non tanto il Codice di procedura quanto la legge penale sostanziale (quella, per intenderci, che descrive i comportamenti delittuosi e stabilisce le pene relative) o addirittura la normativa che le sta a monte (si pensi alla vecchia questione delle regole sugli appalti) si portano dietro talvolta da decenni. E non c’è dubbio che una ragionevole certezza circa la punibilità o la non punibilità di determinate condotte, oltre a essere, come sempre, una fondamentale garanzia del cittadino, assume, in questo campo, anche un’altra valenza, perché, al di là dell’interesse del singolo, ne viene implicata l’affidabilità dell’azienda di cui egli sia titolare, dirigente o comunque parte attiva.
Chiedere chiarezza è, ovviamente, tutt’altra cosa che rimpiangere quelle impunità, di diritto o di fatto, sulle quali può anche aver costruito le sue fortune qualche personaggio più o meno in vista; e non significa neppure auspicare, per il futuro, una giustizia a maglie larghe, la quale privilegi gli interessi particolari a scapito della collettività, dei consumatori, dei concorrenti, agevolando le furbizie, a cominciare dagli stratagemmi diretti all’occultamento preventivo di prove.
In ogni caso, non può non valere pure qui, con qualche peculiare specificazione, una regola aurea, che dovrebbe essere direttiva basilare per una giustizia penale corretta e al tempo stesso efficiente: la distinzione tra le autentiche garanzie da promuovere e potenziare, e quelli che invece non sono che abusi o distorsioni di garanzie, fonti potenti di una giustizia ritardata o negata.
Per esemplificare: darebbe garanzia effettiva la revisione delle norme come quella sul falso in bilancio, vera spada di Damocle capace di trasformare una svista in micidiale mina vagante, se non per condanne definitive (ci sarà pur sempre necessità di dimostrare il dolo), per indagini e incriminazioni che già di per sé possono danneggiare pesantemente.  Appare invece opportuno un maggior rigore nella disciplina della prescrizione (senza dimenticare, tra l’altro, che in Francia la giurisprudenza, per i reati societari, fa decorrere il termine iniziale solo dal momento in cui l’inflazione può essere constatata...).
E, tanto per tornare a Tangentopoli, nessuna “soluzione” sarebbe poi accettabile, se accomunasse colpevoli e innocenti sotto il segno della “pietra sopra” all’accertamento dei fatti, o se consentisse a concussori, corrotti e corruttori di continuare come prima, mantenendo cariche e prebende.
Mario Chiavario