"Sono troppi tre gradi di giudizio" 

da La Stampa del 22.4.99

Gian Carlo Caselli 
' E sempre più difficile evitare gli insulti e l'ostracismo arrogante di quanti (forti della loro onnipresenza e della banalizzazione delle analisi) cercano di espellere con violenza, dalla costellazione delle idee, quelle che non collimano con i loro interessi.
E tuttavia, i temi della giustizia son troppo delicati per lasciarne l'esclusiva a chi vede dovunque (fuori del suo recinto) manifestazioni di giustizialismo forcaiolo. Anche perché i cittadini si riconoscono sempre meno in un mondo che sembra preferire la forma alla sostanza, la retorica e le risse alla soluzione dei problemi. Sui temi della giustizia e della sicurezza i cittadini vogliono risposte concrete. Gli incontri di boxe tra politici e magistrati - all'uomo della strada - non interessano: specie quando se ne intuisce il carattere strumentale (un esempio: il miraggio della separazione delle carriere come panacea per ogni male della giustizia).
Tutti sappiamo che il 95% dei furti rimane impunito; che i processi - penali e civili - durano qualche decennio, con intervalli anche di parecchi anni fra un'udienza e l'altra; che le condanne dell'Italia presso la Corte europea dei diritti dell'uomo si fanno sempre più frequenti. L'esigenza di risposte concrete e urgenti è dunque drammaticamente evidente. Le polemiche non servono. Soprattutto se sbagliano "malato": nel senso che sparano a zero contro la giustizia anticorruzione o antimafia (che si vorrebbe meno "esuberante", per non disturbare troppo chi manovra nell'illegalità), dimenticando invece la giustizia dell'ordinario, proprio quella che il cittadino comune vorrebbe - nel suo interesse - che fosse un po' meno in coma.
Ma le risposte concrete, proprio perché necessarie (in termini di uomini, mezzi, risorse e leggi davvero mirate sulla specificità dei problemi e non ispirate a concezioni autistiche), presuppongono un dato di fondo: la coerenza .
Altrimenti, invece di risposte efficaci, avremo un quadro caratterizzato da forti incongruenze tra idea e idea, fra contenuti di pensiero e comportamenti effettivi: in sintesi, avremo un quadro schizofrenico.
Per contro, la coerenza sta diventando merce piuttosto rara. Così, non c'è coerenza se da un lato si strilla che l'ingiustizia dilaga, che l'insicurezza cresce, che l'ansia dei cittadini è a livelli patologici, e poi si indebolisce la magistratura (pm e giudici): aggredendo con sistematica protervia coloro che - facendo il proprio dovere - hanno la disavventura di incrociare illegalità collegate ad interessi "forti". E tuttavia respingono la tentazione di restare - per pigrizia, se non peggio - nel perimetro dei comodi adempimenti burocratici, senza quella tensione civile (nel rispetto delle regole) che è l'interfaccia della giustizia giusta. Per certa gente, il nuovo credo della tolleranza zero sembra valere soprattutto per l'efficienza e l'indipendenza della magistratura. In dispregio - appunto - della coerenza.
Allo stesso modo, non è coerente chi impugna come un mitra un "garantismo" concepito a propria immagine e somiglianza, mentre di fatto cerca di svuotare (non di affinare o correggere!) strumenti essenziali di contrasto dell'illegalità. Per esempio, invocando una riforma del 513 che non contempli con chiarezza - accanto al principio che senza contraddittorio non c'è giusto processo e perciò non si può condannare - anche il principio che la legge deve prevedere ogni misura utile a garantire l' effettività del contraddittorio. Altrimenti, invece di puntare al contraddittorio, si accetta passivamente il silenzio delle fonti d'accusa, che è la negazione stessa di quel contraddittorio che si vuol far credere di volere. Col risultato di sbilanciare il processo (anziché mediare tra le diverse finalità che lo caratterizzano) nel senso di accordare troppi privilegi alle ragioni degli imputati.
Se poi ci mettiamo sul versante dei cosiddetti "pentiti" si possono trovare più incoerenze che bagnanti a Rimini d'estate. Sulla necessità di riscrivere la legge (sette anni dopo le stragi che ne imposero l'adozione), tenendo conto dei successi ottenuti, ma anche di vari guasti riscontrati, tutti concordano. Ma è incoerente con se stesso, con la verità e la logica chi (dicendo di voler combattere la mafia) usa poi quei guasti - spesso generalizzandoli od enfatizzandoli - come un piccone, per demolire e vanificare uno strumento di indagine che la natura stessa della mafia rende ancora oggi decisivo.
Non solo incoerente, ma addirittura in rotta di collisione con le più elementari esigenze di efficienza dei processi antimafia e con la storia stessa di tali processi, è poi la posizione oltranzista di chi pretende di stravolgere il principio secondo cui anche la convergenza delle dichiarazioni di più "pentiti" (senza combines) può contribuire a formare il libero convincimento del giudice. Perché rinunziare a questo principio sarebbe rinunziare, in moltissimi casi, ad ogni possibilità di lottare efficacemente contro la mafia. Significherebbe tornare ai tempi in cui la mafia non c'era perché nessuno la cercava coi metodi giusti: metodi sperimentati per la prima volta dal pool di Falcone e Borsellino, che su tale convergenza - appunto - costruirono il maxiprocesso.
Ma il tetto dell'incoerenza lo si riscontra quando si affrontano i temi più generali del funzionamento del sistema processuale complessivo. Tutti si strappano i capelli (con mille, sacrosante, ed incontrovertibili ragioni) per la durata interminabile dei processi e per la mancanza di certezza ed effettività della pena. Ma ben pochi sono disposti a mettere in discussione i tre gradi - minimo - che caratterizzano il nostro giudizio: per lo meno prevedendo un qualche filtro che impedisca l'attuale ingovernabile intasamento, causa principale dei tempi vergognosamente lunghi della giustizia italiana, di fatto svilita a denegata giustizia, con pregiudizio - in particolare - di fondamentali interessi collegati alla vita quotidiana dei cittadini.
Per concludere, la coerenza non sempre fa parte del nostro Dna. Manca, in particolare, a molti di coloro che sono in prima fila quando si tratta di esibirsi in proclami verbali contro l'insicurezza ed il dilagare della criminalità, ma poi - di fatto - remano contro. Per fortuna, è ancora molto forte e diffuso il punto d'onore di non cedere (anche nel ricordo dei tanti caduti): nonostante gli ostacoli che proprio l'incoerenza dissemina. A bizzeffe.