Richieste di rinvio d’udienza ammissibili solo se motivate 

da Il Sole 24 ore del 22.12.98

ROMA — Giro di vite sui rinvii dei processi penali per «impedimento» del difensore impegnato in un altro dibattimento. La Corte di cassazione ha dettato un severo decalogo ai giudici di merito che impone loro di verificare i motivi delle richieste di rinvio bilanciando le esigenze della difesa con quelle dell’affermazione del diritto; valutando in concreto se l’avvocato proprio non possa provvedere diversamente, ad esempio con un sostituto. I giudici, inoltre, secondo la Corte, devono tenere presente l’eventuale necessità di arrivare in fretta a sentenza (basti pensare all’imminenza della prescrizione) e valutare l’esistenza di eventuali «manovre dilatorie» da parte della difesa.
Insomma, una sentenza restrittiva che si iscrive nel filone che gli studiosi chiamano «abuso del processo», vale a dire l’uso disinvolto degli strumenti offerti dalla procedura per ottenere risultati contrari alla giustizia. Sul tema dell’impedimento per processi contemporanei si sono già pronunciate le Sezioni unite, sempre in senso restrittivo, ma adesso la Corte è più esplicita nel richiamare la necessità di stroncare le prassi dilatorie.
A mettere nero su bianco gli stringenti motivi necessari a ottenere il rinvio è stata la sesta sezione penale della Cassazione (sentenza n. 13.414) che ha rigettato il ricorso di un imputato condannato a cinque mesi di reclusione per favoreggiamento. Perchè l’impegno professionale, si legge nella sentenza, «possa essere assunto quale legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire» è necessario che l’avvocato non si limiti a «comunicare e documentare l’esistenza di un contemporaneo impegno professionale in altro processo, ma esponga le ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione in esso per la particolare natura dell’attività a cui deve presenziare, l’assenza di un codifensore che possa validamente difendere l’imputato, l’impossibilità di avvalersi di un sostituto». Questo sia «nel processo a cui l’avvocato intende partecipare che in quello di cui chiede il rinvio».
Ma non basta. La Cassazione indica al giudice di merito anche severi criteri di decisione: «Deve valutare accuratamente, bilanciando le esigenze di difesa dell’imputato da un lato e quelle di affermazione del diritto e della giustizia dall’altro, le documentate deduzioni difensive, anche alla luce delle eventuali necessità di un rapido esaurimento della procedura trattata, per accertare che l’impedimento non sia funzionale a manovre dilatorie o non possa nuocere all’attuazione della giustizia nel caso in esame».
«È un’abrogazione del diritto a far valere l’impedimento» commenta
l’avvocato Luigi Vanni, della Camera penale di Milano. «Un’interpretazione
? continua — che consente al giudice di sindacare nel merito la scelta del difensore». Quale avvocato, del resto, osserva Vanni, non ha la possibilità di nominare un sostituto? Giuseppe Frigo, presidente dei penalisti italiani, ricorda invece il precedente delle Sezioni unite per sottolineare che adesso la Cassazione dà accenti nuovi e più forti a principi già affermati. Nell’ottica dell’abuso del processo «dovremo avviare anche noi una riflessione in materia, come hanno fatto gli Stati Uniti», dice Frigo. Che però non ci sta a mettere solo gli avvocati nell’angolo dei cattivi. «L’abuso — dice — riguarda tutti i soggetti del processo. Ci sono, e lo sappiamo, i pubblici ministeri che ritardano le iscrizioni nel registro degli indagati per avere più tempo». Ci sono, aggiunge, le Sezioni unite della Cassazione che ritengono perentorio il termine di dieci giorni, dato al tribunale della libertà, solo per il deposito e non anche per la motivazione della decisione. C’è, insomma, una prassi da correggere.  Con questa sentenza finirà, però, che ancora una volta il rinvio sarà o no un diritto a seconda di chi decide.
R.Mi.