Penalisti, stop per le riforme

da Il Mattino del 22.2.99

MARIA PAOLA MILANESIO 
DA oggi niente udienze. Annunciata a fine gennaio, parte la manifestazione di protesta degli avvocati, che non entreranno nelle aule di giustizia da oggi fino a mercoledì. In questo modo i penalisti italiani intendono protestare «contro l’inerzia del governo e del Parlamento nel porre mano a quelle riforme necessarie per recuperare nel nostro sistema i principi basilari del giusto processo». 
Eppure da fine gennaio ad oggi molte cose sono cambiate. Il Senato si appresta a votare per l’introduzione dei principi del giusto processo nella Costituzione, il ministro della Giustizia, Oliviero Diliberto, ha presentato un disegno di legge proprio sul 513 (sulla validità delle chiamate in correità non ribadite al dibattimento). Non basta tutto questo per rinviare lo sciopero imminente o il mese di astensione (dal 25 febbraio al 20 marzo) da quelle udienze, nelle quali va applicato l’attuale contestatissimo articolo del codice di pricedura penale? Per Giuseppe Frigo, presidente dei penalisti italiani, la buona volontà dimostrata dai politici ancora non basta. Le riforme, infatti, devono anche arrivare in porto e, soprattutto per l’inserimento del giusto processo in Costituzione, il percorso parlamentare sarà lungo. 
Perché resta lo sciopero? 
«Abbiamo confermato l’astensione da tutte le attività giudiziarie fino a mercoledì. Assegnamo a queste giornate un significato anche diverso: vogliamo riflettere sulle novità intervenute nel frattempo, novità che consideriamo positivamente». 
Novità non da poco: il Senato sta per approvare l’inserimento in Costituzione dei principi del giusto processo e il governo ha presentato un disegno di legge sul 513. Che cosa manca ancora? 
«La risposta del Parlamento. Nelle conferenze nazionali programmate da oggi al 24 valuteremo anche eventuali iniziative...» 
Vale a dire l’astensione dalle udienze dove va applicato il 513? 
«Certo, soprattutto per lo sciopero proclamato dal 25 febbraio al 20 marzo, solo per questi casi specifici. Su questo punto, decideremo dopo aver visto la risposta del Parlamento. Il disegno di legge del ministro va nella direzione giusta, ma è ancora una proposta; non vogliamo che si corra il rischio di vederlo arenato in Parlamento. Se la procedura d’urgenza avrà i suoi effetti, pensiamo - ma lo pensa anche il ministro - che il provvedimento possa diventare legge entro Pasqua. Se fosse così, evidentemente le cose potrebbero cambiare». 
Però, lo sciopero sul 513 scatterà già dal 25 febbraio... 
«Non posso anticipare una decisione che non spetta a me, ma alla giunta. Valuteremo anche in base alle conferenze che terremo in questi giorni». 
A gennaio avete accusato il governo di inerzia... 
«Non solo il governo, ma anche il Parlamento. Da novembre stavamo chiedendo un provvedimento, che è arrivato solo venerdì con il testo del governo». 
Il clima è cambiato, dice il ministro Diliberto. Siete d’accordo? 
«Sì, è vero, ma adesso devono cambiare le norme». 
Ma che cosa chiedete ancora? 
«La buona volontà dimostrata finora non basta, ci vogliono dei voti per cambiare le regole». 
I penalisti hanno scelto la linea dura, scioperi, proteste, che hanno scatenato anche le ire del Quirinale. Siete convinti che sia il sistema più efficare per ottenere i risultati? 
«Non lo so. Vedo che però, da quando abbiamo scelto la linea dura, cominciano ad arrivare i primi risultati, anche se parziali. Probabilmente, anche il clima è cambiato e c’è una risposta più adeguata da parte del sistema politico. Un certo peso, comunque, lo abbiamo avuto anche noi». 
La giustizia va a rilento, si sente ripetere da sempre. Quanta responsabilità ricade sugli scioperi degli avvocati? 
«Questa è una storiella che viene messa in giro da chi ha interesse a non individuare le vere ragioni delle lungaggini, che sono tantissime. Dipendono dalla mancanza di strutture, dalla scarsa organizzazione, dalla crescita a dismisura della domanda di giustizia. Naturalmente esulano da questo discorso le astensioni locali, che possono anche essere state esageratamente lunghe e che quasi mai sono state avallate dagli organismi nazionali dell’avvocatura».