Dalla parte dei burocrati

da Il Sole 24 ore del 22.2.99

Solo i giudici inglesi che si interessano delle controversie amministrative sono fuori da questo circolo vizioso, ma grazie all’autolimitazione e a quello strumento peculiare del processo inglese che consente al giudice di accertare, prima di considerare nel merito la questione, se il ricorrente ha un interesse sufficiente. Questo accertamento funziona da filtro, ma è estraneo sia alla tradizione giuridica italiana, sia a quella della maggior parte dei paesi sviluppati.
Detto della quantità, passo alla qualità della giustizia assicurata dai Tribunali amministrativi. Questi sono stati soverchiati da controversie sul pubblico impiego e su urbanistica ed edilizia. Dunque, sono, in certo senso, stati costretti ad agire da giudici di situazioni proprietarie (la “proprietà” del posto di lavoro e quella dei suoli). Sotto la pressione di questo tipo di domanda di giustizia, i Tribunali amministrativi sono divenuti gli interpreti di alcuni particolari interessi, in ispecie di quelli che rappresentano le “voci di dentro” delle varie burocrazie. Insomma, hanno finito per diventare più i tutori dei dipendenti nei confronti delle pubbliche amministrazioni, meno i garanti dei cittadini nei riguardi del potere pubblico.
Ciò non toglie che il diritto creato dai Tribunali amministrativi sia stato, complessivamente, buono, almeno tanto buono quanto lo permettevano l’originaria, affrettata composizione iniziale dei Tribunali, la provenienza burocratica dei suoi componenti, la qualità complessivamente scadente dei nostri uffici pubblici e i tempi ristretti con i quali i giudici lavorano. Questi inconvenienti hanno prodotto, in qualche caso, sentenze ispirate a una giustizia di cadì o di pascià, in altri casi autentici errori. Si aggiunga che i Tribunali hanno acquisito lo stile della giustizia italiana, che produce sentenze per lo più troppo lunghe, sciatte, che girano più volte intorno ai problemi, piuttosto che affrontarli e risolverli subito.
Il ritratto dei Tribunali amministrativi non sarebbe completo se non si aggiungesse che i componenti dei Tribunali, seguendo un andazzo diffuso, si sono subito organizzati in una combattiva associazione, che non perde occasione per muoversi a difesa di ogni singola domanda corporativa degli iscritti. L’associazione è stata particolarmente attiva, da un lato, nell’appoggiare norme costituzionali limitative del Consiglio di Stato (in particolare, di separazione delle funzioni consultive da quelle giurisdizionali) e, dall’altro, nel promuovere l’accesso dei giudici dei Tribunali al Consiglio di Stato e nell’appoggiare una riforma della rappresentanza nell’organo cosiddetto di autogoverno a favore dei giudici dei Tribunali amministrativi.
Conclusione: i Tribunali amministrativi sono un’istituzione vitale, utile nel correggere le principali storture di un’amministrazione debole e mal governata, ma, nello stesso tempo, condizionata dai troppi difetti di questa.
Sabino Cassese