«Bavaglio»
ai giornalisti,protestano Fnsi e Ordine
da Il Mattino del 22.1.99
I giornalisti non ci stanno. Non si rassegnano davanti al pericolo di
finire in carcere, o di essere costretti a pagare ammende salatissime (fino
a 50 milioni), per la pubblicazione di atti giudiziari coperti da segreto.
Di fronte a norme così severe, che limitano pesantemente la libertà
di informazione, la Federazione nazionale della stampa si mobilita. Ha
già chiesto «incontri urgenti» ai presidenti di Senato
e Camera, ai presidenti dei gruppi parlamentari, ai responsabili Giustizia
e ai segretari di tutti i partiti (un appuntamento con una delegazione
ds è fissato per martedì); un incontro analogo sarà
chiesto al governo. All’inizio della prossima settimana, inoltre, la giunta
si riunirà per decidere iniziative di lotta «da proporre all’Ordine
nazionale dei giornalisti e a tutti gli organismi della categoria, in primo
luogo l’Unione nazionale cronisti italiani». Nella lettera inviata
a Mancino e Violante, la Fnsi ricorda che il provvedimento «non riguarda
tanto la tutela delle persone indagate, per la quale vi sono precise norme
da tempo in vigore, quanto la punizione del giornalista reo di aver esercitato
il diritto-dovere di informare, sancito dalla Costituzione».
È durissimo anche il giudizio dell’Ordine dei giornalisti. Il
segretario nazionale, Gianni Ambrosino, rileva che le nuove norme «hanno
come unico obiettivo quello di stroncare la libertà di stampa».
E questo - evidenzia Ambrosino - «a pochi mesi di distanza dall’approvazione
del nuovo codice deontologico voluto dall’Ordine e dal Garante per la privacy,
che detta regole precise a salvaguardia di una corretta informazione. L’indagato
va tutelato - riconosce il segretario dell’Ordine - ma va tutelato anche
il diritto
dei cittadini ad essere correttamente informati. Le forze politiche
invece hanno preferito mettere da parte la libertà di informare
considerando il giornalista quasi come un nemico da abbattere».
«Fare il proprio mestiere diventa sempre più difficile»,
commenta Enzo Biagi, secondo il quale «la miglior bussola»
per il giornalista rimane «il senso di responsabilità».
È amaro Giorgio Bocca: «La libertà di stampa ormai
è considerata dai politici una specie di optional». Indro
Montanelli, decano dei giornalisti italiani, evidenzia che bisognerebbe
prendersela con «i funzionari che non sanno mantenere il segreto»
perchè poi «amano vedere sul giornale il proprio nome e la
foto». E Bruno Vespa definisce «un po’ ipocrita» l’idea
di punire solo i giornalisti che violano i segreti giudiziari, ma non le
loro fonti. D’altra parte, la convinzione che la strada scelta dal Parlamento
non sia quella giusta prevale anche fra i consiglieri del Csm. Margherita
Cassano, di Magistratura Indipendente, preferirebbe «una riflessione
deontologica all’interno delle categorie: giornalisti, ma anche magistrati
e polizia giudiziaria». Per Carlo
Di Casola, di Magistratura democratica, le norme «colpiscono
l’ultimo anello della catena». Secondo Armando Spataro, dei Movimenti
Riuniti, «sarebbe opportuna una più esatta definizione, una
tipizzazione, degli atti che devono rimanere coperti fino alla fine delle
indagini. Non si può pensare che arresti o perquisizioni clamorose
restino segrete per due anni...».
Ma anche fra i politici ci sono voci contrarie. Ersilia Salvato, vicepresidente
del Senato, definisce le nuove norme «inutili e dannose»: attribuire
ai giornalisti, anzichè ai magistrati e al personale degli uffici
giudiziari la responsabilità delle violazioni del segreto istruttorio
«rappresenta una pericolosa violazione del diritto di cronaca che
interviene solo a valle delle fughe di notizie e deresponsabilizza
viceversa chi per ruolo e funzione ha l’obbligo di preservare la riservatezza
sugli atti d’indagine». Peraltro, afferma Salvato, «il provvedimento
è del tutto inefficace rispetto alla deprecabile prassi - questa
sì di responsabilità della stampa e che richiederebbe una
ben maggiore autodisciplina da parte della categoria - di considerare l’avviso
di garanzia alla stregua di una sentenza di condanna».
Di diverso avviso Titta Madia, responsabile giustizia dell’Udr, secondo
cui il provvedimento «tutela prima di tutto i cittadini e poi i giornalisti
corretti che non ricorrono a mezzi illeciti per ottenere notizie che non
devono essere pubblicate».
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