Arresto per i giornalisti.Csm: la Camera sbaglia 

da La Repubblica del 22.1.99

di RAIMONDO BULTRINI 
ROMA - Molti deputati non sapevano di aver votato una legge che potrebbe rendere ordinaria amministrazione l’incriminazione e l’arresto dei giornalisti che divulgano notizie coperte dal segreto. 
La verità è venuta a galla il giorno dopo, diradato il fumo della battaglia che mercoledì ha visto contrapposta l’intera aula di Montecitorio e la categoria dei giornalisti italiani sul tema del segreto investigativo. Una battaglia che ha visto clamorosamente schierati al fianco della stampa i magistrati
dell’organo di autogoverno. “Con il codice di procedura penale - ha commentato Margherita Cassano, di
Magistratura indipendente - avevamo fatto un passo avanti su questi temi. Così si torna indietro”. Analoghe le dichiarazioni di Carlo Di Casola e Nello Rossi (Magistratura democratica), di Armando Spataro, dei Movimenti riuniti e di molti altri, che invocano garanzie per proteggere il segreto, ma deplorano lo “sbilanciamento” a danno della corretta informazione.
Le norme che estendono i tempi del segreto e alzano la pena pecuniaria contro i responsabili della divulgazione di notizie riservate sono state votate quasi a “scatola chiusa” all’interno di tutt’altra legge già passata in commissione Giustizia, quella sul giudice unico.
Secondo Paolo Serventi Longhi, segretario della Fnsi, questa scelta “è nata dalla paura delle reazioni su una proposta di legge ad hoc, chiara e trasparente. Così però in commissione Giustizia una vera lobby, formata soprattutto da magistrati e avvocati, ha gravemente fuorviato l’aula”.  La prassi è in effetti consolidata in Parlamento e ha già provocato altri “incidenti” analoghi. Intervistati sull’argomento, esponenti di quasi tutti i partiti, da Marco Taradash di Fi a Roberto Villetti (Si) e Beppe Giulietti (Ds), tutti giornalisti e parlamentari, hanno ammesso onestamente di non aver valutato l’ impatto del provvedimento che a una prima lettura non sembrava discostarsi troppo dalle vecchie norme abolite. Un mese di arresto era infatti previsto anche prima. Cambiava apparentemente solo il tetto della pena pecuniaria, da poche centinaia di mila lire a 50 milioni. Ma pochi si sono accorti che l’estensione del segreto a tutto il periodo delle indagini preliminari, visti i tempi biblici delle istruttorie, potrebbe trasformarsi in un black out informativo.
Per evitare che questa vicenda si trasformi in quella che Giulietti ha definito “una guerra di religione”, la prossima settimana ci sarà una serie di incontri dei rappresentanti dei giornalisti con delegazioni dei partiti e con i presidenti delle due Camere. Molti Cdr, tra i quali quello di Repubblica, si sono dichiarati pronti ad aderire a eventuali iniziative di lotta. E già arrivano dal Quirinale e dal Senato segnali di cambiamenti di rotta radicali. Carlo Rognoni, vicepresidente di Palazzo Madama, ha detto che il provvedimento sarà di certo “riesaminato con attenzione”. Contraria anche l’altra vicepresidente di Rifondazione Ersilia Salvato, che definisce le norme votate “inutili e dannose”.
Durante la seduta sotto accusa c’è anche chi è uscito dall’ aula senza votare, come Federico Orlando del Gruppo misto, anche lui giornalista. “I miei colleghi parlamentari - ha commentato - proteggono se stessi votando leggi che violano la privacy e l’onorabilità delle persone in forma più grave dei giornalisti, spacciando tale comportamento come “esercizio delle funzioni parlamentari””. Assente al voto per una missione, Furio Colombo, ds, ha spiegato che nella tradizione americana il giornalista “ha il dovere di dare la notizia purché ne riveli la fonte, e che la responsabilità penale è della fonte stessa”.
Critico verso la categoria è stato un altro parlamentare-giornalista, Mauro Paissan dei Verdi, secondo il quale c’è stato un “eccessivo tasso di ipocrisia” su questo voto, poiché la stampa avrebbe “dovuto conoscere (non fanno, per l’appunto, i giornalisti?, ha ironizzato) questo articolo di legge, proposto a suo tempo dal ministro Flick”. Ma Serventi Longhi smentisce: “La proposta fu di Giuliano Pisapia, e noi la osteggiammo fin dal primo momento”.  Durissimo infine il commento di Indro Montanelli: “Non sono i giornalisti a violare il segreto - ha detto - ma chi gli passa le notizie”. La legge è quindi “frutto di analfabetismo della classe politica. Lo difendano loro il segreto d’ufficio - ha aggiunto - I loro funzionari lo violano magari per avere la foto in prima pagina”.