Il Pretore Aghina

da Il Mattino del 22.9.99

GIAMPAOLO LONGO 
Vent’anni con la toga. Ernesto Aghina, pretore, ne ha giudicati a centinaia: ladri di mestiere, scippatori incalliti, evasi impenitenti e borseggiatori dalle mani di velluto. Ora che l’allarme criminalità rimbalza da Nord a Sud, vent’anni di sentenze possono servire a capire dove si è inceppato il meccanismo giustizia. 
Quanti ladri e scippatori ha giudicato? 
«Ho perso il conto». 
Perché tornano in libertà così frequentemente? 
«Noi magistrati applichiamo la legge. Il nostro sistema individua come eccezione, e non come regola, la misura cautelare della detenzione prima della sentenza definitiva. E il giudicato interviene, come è noto, in tempi non certamente celeri». 
Che cosa prova quando rimette in libertà una persona condannata per scippo, o per borseggio? 
«Qui non contano le mie emozioni, la valutazione personale è strettamente connessa al rispetto della norma. Ma come cittadino e magistrato devo dire che non mi sfugge in aula l’allarme sociale provocato da questo tipo di reati». 
Faccia un esempio. 
«Quando giudico per direttissima il furto aggravato o l’ evasione dagli arresti domiciliari. Molto spesso per questi reati il dibattimento si conclude con un patteggiamento, con un rito abbreviato che, con rilevante frequenza statistica, può comportare la libertà dell’arrestato. Ebbene: io colgo negli occhi della parte lesa, della vittima presente in aula, o dei poliziotti che hanno proceduto all’arresto, lo scoramento, lo sconforto per questa decisione. Anche se illustro le motivazioni del provvedimento, quello sguardo di delusione resta». 
Quali interventi sarebbero necessari per rimettere in pista il meccanismo-giustizia? 
«Se ci riferiamo a questo tipo di reati, sarebbe necessario per esempio, in quest’epoca di informatizzazione, procedere a un rapido aggiornamento del casellario giudiziale. Quando giudichiamo un imputato, teniamo conto delle condanne definitive che questi ha accumulato, riportate sul casellario. Ebbene: molto spesso giudichiamo una persona recidiva, ma noi pretori non sempre lo sappiamo, perché i tempi di aggiornamento del casellario non sono celeri». 
E sugli arresti domiciliari, istituto giudicato fallito da molti suoi colleghi? 
«Bisogna chiarire il meccanismo: il pretore giudica l’imputato per evasione e dispone solo il ripristino degli arresti domiciliari. La misura cautelare in carcere viene disposta da altra autorità, e non sempre tempestivamente. Questa è la regola generale. È chiaro, però, che l’effetto deterrente che dovrebbe derivare dalla sentenza emessa dal pretore è nullo agli occhi dell’evaso. Ritengo doveroso, peraltro, la sperimentazione del braccialetto elettronico, che consentirebbe il recupero di molte energie da parte delle forze dell’ordine». 
Il Governo mette a punto un «pacchetto sicurezza». Che cosa ne pensa? 
«Credo che limitare i benefici nei confronti dei recidivi sia un principio giusto. Mi convince meno l’ipotesi di inasprire le pene, perché il primo, vero problema è che la pena venga scontata. La soluzione di cui sento parlare mi sembra sia comunque di tipo più emotivo e politico, che non diretta a mettere mano ai problemi del processo penale. Ritengo, per esempio, che bisognerebbe intervenire sui tre gradi di giudizio. Sono troppi per il nostro tipo di processo». 
Quali altri interventi sarebbero necessari in tema di criminalità da strada? 
«Vorrei che il legislatore ponesse mano con impegno equivalente anche al tentativo di eliminare le cause sociali che sono quasi sempre a monte di questi comportamenti devianti» 
Il procuratore aggiunto Palmeri chiede di cambiare il codice di procedura penale. Condivide? 
«Questo codice ha avuto una gestione lunghissima, e con le modifiche che sono state apportate è ben diverso da quello originario. È evidente però la necessità di interventi correttivi, soprattutto sul meccanismo del dibattimento». 
Tra qualche mese, con l’avvento del giudice unico nel penale, la figura del pretore andrà in soffita. Chiude un bilancio in rosso? 
«No, la figura del pretore è stata una delle esperienze migliori della storia giudiziaria italiana. Se parliamo di bilancio in rosso, allora dobbiamo riferirci all’attuale figura del giudice del dibattimento. Noi celebriamo processi quando ormai è passato troppo tempo dal fatto: i testimoni ricordano poco o nulla di quanto accaduto e persino l’imputato è spesso una persona diversa da quella che ha commesso il reato».