Borrelli: «Ladri di polli liberi? La colpa non è dei magistrati» 

da Il Corriere della sera del 22.9.99

Caro Direttore, 
un noto fondista del suo giornale, Angelo Panebianco, raffinato osservatore politico quanto sommario e impreciso commentatore dei fatti della giustizia, ha trovato modo lunedì di spruzzare ancora una nuvola di acido sui pubblici ministeri. 
Se i «ladri di polli» sono in libertà, questo non dipenderebbe dalla evidente incapienza dell'edilizia carceraria rispetto alle legioni dei delinquenti, non dall'esiguità delle strutture dei servizi sociali, non dalle disfunzioni amministrative del settore giustizia, non da un contesto normativo schizoide che aduna penalizzazioni assurde, pene spropositate, insensati meccanismi riduttivi, procedure da paralisi, insincere utopie di decarcerazione. No. 
Dipenderebbe invece, almeno in buona parte, dalla proterva prepotenza di settori della magistratura, pubblici ministeri in ispecie, che per mire di carriera e collateralismi politici avrebbero privilegiato la repressione del terrorismo, della mafia e della corruzione, facendo qui strame del principio dell'onere della prova, ma graziando la criminalità diffusa. 
A parte il fatto che fino ad ora i furti in appartamento, gli scippi, le ricettazioni, le truffe competevano a uffici diversi da quelli che si occupavano di terrorismo, mafia o corruzione, che cosa mai lascia credere al professor Panebianco che le attività della giustizia negli ultimi lustri siano state solo quelle che hanno trovato spazio nei giornali? Il vizio autoreferenziale del mondo dell'informazione o i dati statistici? Che cosa mai lascia credere al professor Panebianco che terrorismo, mafia, corruzione siano trampolini di successo, quando sappiamo che la carriera dei magistrati è semmai fin troppo vincolata all'anzianità, come è dimostrato dalla permanenza di personaggi più che noti, più che maturi, più che valorosi, in posti di sostituto o di giudice? 
Il professor Panebianco ha tratto dalla lettura di sentenze civili o penali il convincimento che l'onere della prova - quell'onere che ai giornalisti non incombe, se non quando vengono querelati - nei Tribunali sia stato ribaltato? Non sa che al contrario la cultura della prova è talmente radicata da avere ostacolato l'applicazione di norme che ne prescindono, come in materia di misure di prevenzione antimafia? E la barbara usanza di chiamare giudici i pubblici ministeri donde nasce, se non da un giornalismo strafalcione? Naturalmente non mi stupisce che il rinnovato impegno nella repressione della corruttela abbia provocato a lungo andare turbolenze contrarie in vari ambienti e quindi in una parte dell'opinione pubblica, e che oggi strumentalmente taluno addebiti a quell'impegno una situazione di supposta insicurezza collettiva. 
Stupisce che il professor Panebianco citi statistiche sulle rapine a sostegno della propria tesi, ignorando che già nei primissimi Anni '70 le rapine aggravate (cioè la quasi totalità di esse) erano talmente cresciute di numero, da indurre, nel 1974, il legislatore a trasferirle dalla competenza della Corte d'assise a quella del Tribunale. 
Stupisce che il professor Panebianco sembri sottovalutare l'emergenza della corruzione, quando a livello europeo - da anni - si sono moltiplicate le intese, gli accordi, le raccomandazioni, gli scambi di esperienze proprio su quel tema. Forse lo ignora. Purtroppo, forse, lo ignorano anche i nostri legislatori, che non hanno ancora ratificato nessuno di quegli accordi. Grazie per l'ospitalità 
F. Saverio Borrelli, Procuratore Generale, di Milano,, , , Se interpreto correttamente il pensiero del dottor Borrelli, l'impunità della criminalità diffusa e la sua espansione nel corso degli anni andrebbero esclusivamente ricondotte a responsabilità dei politici. Gli operatori del settore sarebbero invece mondi di ogni responsabilità. , L'esistenza, per esempio, di ideologie dentro certe correnti della magistratura che puntavano fin dagli Anni '70 a svalutare l'impegno contro la cosiddetta e maldetta «microcriminalità» a favore di un uso più politicamente orientato degli strumenti giudiziari, secondo l'interpretazione del dottor Borrelli, non c'entrerebbe nulla. Io penso invece che una saldatura fra operatori del settore e un certo mondo politico ci fu, e che scelte non dichiarate di disinvestimento nella lotta alla criminalità diffusa vennero di fatto prese. In ogni caso, io non ho mai detto ciò che il dottor Borrelli mi vuol far dire, ossia che la responsabilità del deterioramento dell'ordine pubblico sia esclusivamente della magistratura. Come nel caso di ogni fenomeno sociale complesso hanno fatto danni in tanti: politici, poliziotti, giornalisti, professori di diritto. , Non mi dica però, dottor Borrelli, che solo voi magistrati non c'entrate niente., Angelo Panebianco,