Granata denuncia: pressioni sulla Corte 

da Il Sole 24 ore del 23.2.99

ROMA — Li chiama «avvertimenti», Renato Granata, quelli di cui è stata destinataria la Corte costituzionale nel ’98, a cavallo tra l’ormai nota sentenza sul «513» e la pronuncia sul referendum elettorale. «Avvertimenti più o meno velati», che in alcuni casi si sono concretizzati in iniziative parlamentari di riforma costituzionale, dirette, come qualcuno ha detto, «a tagliare le unghie alla Corte». In questi quattro mesi Granata è stato zitto. Ma ieri, in occasione dell’annuale conferenza stampa a palazzo della Consulta, il presidente della Corte che ha fatto del silenzio una regola aurea e del riserbo un imperativo categorico è passato al contrattacco, pronunciando una dura requisitoria contro chi (soprattutto tra i politici) ha scelto la strada della «delegittimazione» dei giudici costituzionali per condizionarne l’operato, finendo per coinvolgere, «in un perverso gioco al massacro, tutte le maggiori e più significative istituzioni del Paese». A cominciare dal (mai citato) presidente della Repubblica, tirato in ballo con puntualità svizzera alla vigilia delle decisioni più "politiche" della Consulta, come quella sul referendum elettorale. E attaccato duramente anche quando criticò lo sciopero degli avvocati (da ieri di nuovo sul piede di guerra) contro la sentenza sul «513».
La memoria fa fatica a rintracciare un allarme così forte lanciato da un presidente della Corte costituzionale, per di più in diretta televisiva. Ma, come spiega lo stesso Granata all’inizio della sua relazione sulla giustizia costituzionale, nel 1998 la Corte ha dovuto navigare «attraverso acque ancora più tempestose che negli anni precedenti, pure non privi di polemiche». Acque agitate, stavolta, anche dalla sinistra. Dopo la sentenza n. 361 sul «513» (che ha fatto cadere parzialmente la riforma approvata dal Parlamento nel ’97, recuperando l’utilizzabilità delle dichiarazioni dei pentiti, anche se non confermate in dibattimento), autorevoli esponenti della Quercia (Antonio Soda, Cesare Salvi) hanno accusato la Corte di aver invaso la sfera di competenza del Parlamento e di aver fatto un uso troppo disinvolto delle cosiddette sentenze "additive" (che dichiarano incostituzionale una norma «nella parte in cui non prevede che...», aggiungendo così una nuova previsione). E portano la firma dei Ds anche la proposta di riforma costituzionale per eliminare le sentenze additive nonché quella sul «giusto processo» per garantire che il principio del contraddittorio nella formazione della prova sia "a prova di Corte costituzionale". 
«Abbiamo appreso — dice ironicamente Granata riferendosi alla riforma del 513 varata nel ’97 — che essendo stata una legge approvata in Parlamento con una larga maggioranza, il giudizio negativo di legittimità costituzionale meditatamente e motivatamente reso dalla Corte avrebbe costituito un’indebita invasione di campo». Lo stesso criterio quantitativo avrebbe dovuto ispirare la decisione sul referendum. «Abbiamo sentito affermare che di fronte all’ampiezza e alla pluralità delle voci caldeggianti l’ammissione del referendum, la Corte sarebbe stata ineluttabilmente obbligata a una decisione favorevole». Affermazioni «bizzarre», osserva il presidente, «quasi che il criterio-guida del giudizio della Corte dovesse rinvenirsi nel numero dei consensi o dei dissensi, politici, parlamentari o massmediali», e non invece nei principi della Costituzione e nella giurisprudenza costituzionale.
Il problema, segnala Granata, è che la «legittima critica» delle decisioni della Corte lascia sempre più spesso il posto, se non alla «contumelia» o all’«invettiva», al «rifiuto acrimonioso e preconcetto di valutare le ragioni di quelle decisioni». C’è persino chi, ricorda Granata, ha pubblicamente dissentito da una sentenza, confessando «di non averne ancora letto il testo». Ciò nonostante, la Corte è andata e continuerà ad andare avanti per la sua strada, «tenendo l’occhio fisso unicamente alla sua stella polare: la Costituzione». Perché il giorno in cui questo non sarà più possibile, «sarà un giorno triste», soprattutto «per il Paese». Preoccupazioni condivise da alcuni giudici (Annibale Marini) ed ex presidenti (Ettore Gallo, Vincenzo Caianiello e, con qualche riserva, Antonio Baldassarre). «Mi auguro — ha però concluso Granata — che sia solo una nuvola scura, già passata». 
Il presidente ha poi passato in rassegna alcune delle più significative sentenze del ’98, tra cui quelle sul «513», sul caso Di Bella, sulla fecondazione assistita, sull’insindacabilità dei parlamentari. Ha difeso l’uso ultratrentennale delle sentenze additive; ha ricordato l’alta produttività della Corte (471 le decisioni emesse ma i procedimenti definiti sono passati da 893 a 951) e ha preannunciato che presto sarà di nuovo all’ordine del giorno della Corte il tema dell’opinione dissenziente nella stesura delle sentenze, su cui Granata ha confessato di aver cambiato idea, diventando «più sensibile alle esigenze e alle argomentazioni di chi è favorevole» a questa riforma. «Resta però aperto il problema — ha concluso — se sia sufficiente, per introdurla, una modifica al regolamento interno della Corte o se invece occorra un intervento legislativo».
Donatella Stasio