Granata: vogliono dimezzare la Consulta 

da La Stampa del 23.2.99

ROMA. La contumelia, l'invettiva, l'acrimonioso e preconcetto rifiuto, la delegittimazione, il gioco al massacro. Non si nasconde dietro le parole, l'eccellentissimo presidente della Corte Costituzionale, Renato Granata, nel denunciare il clima che si respira a palazzo della Consulta. Ai supremi giudici che difendono i principi della Costituzione non sono proprio piaciute le polemiche che hanno investito la Corte nell'ultimo anno. E allora Granata scandisce a voce alta: "La Corte non si inorgoglisce per i pur non rari apprezzamenti e elogi... così non si intimorisce per i più o meno velati avvertimenti di cui è fatta segno. In tutta serenità, ma con assoluta fermezza, la Corte assicura che essa rimarrà fedele al mandato affidatole dalla Costituzione. Che se poi dovesse sopravvenire il giorno in cui non le fosse più consentito, sarebbe quello in verità un giorno certamente triste per la Corte, ma molto, molto più triste per la Repubblica". 
E' un esordio davvero battagliero, quello del presidente Granata all'annuale conferenza stampa. Sullo sfondo, si agitano le ultimissime roventi polemiche intorno al contraddittorio nel processo penale, il cosiddetto art. 513. E dice con trasparente riferimento: "In ossequio a un parametro neoquantitativo abbiamo appreso che, essendo stata approvata una legge in Parlamento con larga maggioranza, lo scrutinio negativo di legittimità costituzionale avrebbe costituito una indebita invasione di campo". Oppure sul prossimo referendum elettorale. "Abbiamo sentito affermare che la Corte, ove non avesse ammesso il quesito referendario, avrebbe perpetrato un vero e proprio ''colpo di Stato''. Abbiamo udito esprimere l'opinione che, di fronte all'ampiezza e la pluralità delle voci caldeggianti l'ammissione del medesimo referendum, la Corte sarebbe stata ineluttabilmente obbligata a una decisione favorevole". 
Ogni volta che la Corte si avvicina a decisioni importanti, puntuali, si scatenano aspre critiche. Che però questa volta Granata respinge al mittente con inaspettata durezza. "Si avverte il rischio crescente di delegittimazione, se dovuto a mera insipienza o a volontà cosciente è indifferente rispetto ai suoi dirompenti effetti, che non investe soltanto la Corte, bensì coinvolge in un perverso gioco al massacro tutte le maggiori e più significative istituzioni del Paese". 
E a certi critici che non le perdonano nulla, la Corte replica: "A una ragionata e certamente legittima critica, viene in questi ultimi tempi sempre più frequentemente a sostituirsi quando non addirittura la contumelia o l'invettiva, l'acrimonioso e preconcetto rifiuto di valutare le ragioni di quelle decisioni. Giungendo al paradosso di pubbliche dichiarazioni di netto dissenso rispetto a una determinata sentenza, accompagnate dalla confessione di non averne ancora letto il testo". 
E' forse spaventato dal futuro, chiedono al presidente? "Non è un problema di paura. E' un dato di fatto: registriamo una serie di attacchi, anche in sede parlamentare, in concomitanza con decisioni della Corte. Se non ricordo male, qualcuno ha parlato di tagliare le unghie alla Corte. Se succede, il male è per la Corte, ma soprattutto per il Paese. Comunque speriamo che si sia trattato di una nuvola nera ma di passaggio". Poi, per meglio chiarire di quale pericolo sia in agguato, nell'ipotesi di una Corte Costituzionale dimezzata, il presidente illustra quelle che secondo lui sono state le decisioni più importanti dell'anno. Un'antologia di sentenze attraversate da un chiarissimo filo logico: la difesa dell'individuo contro i regolamenti invadenti, uno Stato oppressivo, una burocrazia distratta. Ecco dunque - per stare alle prime scelte dal presidente Granata - la sentenza n. 27, che garantisce rimborsi a chi sia stato danneggiato da una vaccinazione obbligatoria, dove si riafferma il principio che "non è lecito richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un interesse collettivo". Oppure la sentenza n. 232, sulla custodia cautelare in carcere, che dichiara gli interessi del singolo cittadino "prevalenti sulle esigenze di organizzazione degli uffici giudiziari". O ancora la sentenza n. 346, sulle notificazioni a mezzo del servizio postale, per cui "il diritto di difesa presuppone la conoscenza da parte del soggetto dell'esistenza del procedimento che lo riguarda... non essendo sufficiente una garanzia di conoscibilità puramente teorica". 
Francesco Grignetti