La proposta del Cnf non impegna Oua e penalisti. L’attività forense divide gli avvocati 

da Il Sole 24 ore del 23.3.99

ROMA — No all’omologazione. Gli avvocati rivendicano la loro diversità, forti dell’esclusiva citazione della funzione difensiva (tra tutte quelle professionali) in Costituzione. Perciò, diversità da ogni altra categoria in tema di diritto di sciopero; e dalle altre professioni in materia ordinamentale, accentuando la distinzione che pure il Governo Prodi aveva fatto propria, separando il Ddl di riforma degli ordini da quello sugli avvocati.
Lungo questo filo conduttore, il convegno di Bergamo organizzato dall’Ordine e dal Consiglio nazionale forense nello scorso fine settimana ha cercato il consenso delle principali componenti associative, sulla controproposta elaborata dal vicepresidente del Cnf, Remo Danovi. Ma, pur nel garbo dei toni, l’unanimità non c’è stata: si riserva autonome valutazioni e dialogo con il Parlamento l’Organismo unitario (con il presidente Antonio Leonardi); così fa da tempo, pur in spirito collaborativo, l’Unione camere penali (con il presidente Giuseppe Frigo) che anzi persegue un’ulteriore specificità per i penalisti. Non solo: molti Ordini locali non apprezzano la nuova struttura del procedimento disciplinare che, anche nel testo Danovi, separa il giudizio dall’Ordine che lo promuove (e che non potrà costituirsi in appello), per sottolinearne indipendenza e terzietà.
Nella complessiva, analitica riscrittura del disegno di legge (rispetto all’atto C/5211, mai discusso alla Camera), cerchiamo di cogliere le questioni più rilevanti. L’esclusiva professionale, circoscritta nel Ddl alla sola rappresentanza e assistenza in giudizio, dovrebbe recuperare la «consulenza legale professionale», tenuto anche conto delle prospettive di sviluppo delle forme di conciliazione pre-giudiziale, che evidentemente dovrebbero garantire perfino più elevati livelli medi di professionalità. Tema, quest’ultimo, sottolineato anche con riguardo ai doveri deontologici, resi più espliciti ed espressamente estesi alle procedure stragiudiziali.
Tra i presupposti degli "emendamenti", c’è anche il fatto che l’ordinamento forense debba essere "autosufficiente", e non effettuare rinvii alla legge quadro sulle professioni. Da qui l’inserimento, con specifici articoli, di temi che, in effetti, il Governo aveva già considerato nell’ambito più generale: l’obbligo di assicurazione della responsabilità civile professionale; la previsione di tariffe minime inderogabili per le prestazioni obbligatorie; la limitazione ai soli avvocati della possibilità di essere soci di società professionali (rinviando, per il resto, alla generale disciplina di tali società, anche sotto il profilo della forma societaria, non esclusa quella di capitali, purché le quote siano soltanto di professionisti soci).
È invece condivisa, nelle sue linee sostanziali, l’istituzione di un consiglio distrettuale di disciplina, composto da professionisti diversi dai consiglieri degli Ordini, che restano titolari dell’azione disciplinare. Si contesta invece che, a livello nazionale, il Consiglio di disciplina sia "altro" dal Consiglio nazionale forense, anziché costituirne una sezione, distinta da quella amministrativa.
Delle iscrizioni speciali (magistrati, avvocati dello Stato) si chiede tout-court l’abolizione; mentre l’ampia normativa sulla formazione e l’accesso professionale è diffusamente modificata, senza tuttavia respingerne l’impostazione di fondo, che privilegia le scuole forensi e forme più incisive di controllo della professionalità.
Angelo Ciancarella