Intervista
al nuovo direttore di Opera
da Il Corriere della sera del 23.3.99
E' chiamato a governare un «paese» di quasi duemila abitanti.
Ma ha molti più problemi di qualsiasi altro sindaco. «Sì
- ammette - e per questo chiedo collaborazione. In un ambiente così
critico, il lavoro di squadra è indispensabile».
Agazio Mellace, 49 anni, da 18 nell'amministrazione penitenziaria,
è il nuovo direttore del carcere di Opera: una struttura progettata
per 7-800 detenuti, che di fatto ne accoglie 1.100, per il 70% «definitivi»,
ossia condannati in tutti i giudizi. Da lui dipende anche un piccolo esercito
di 600 agenti di custodia. Un grande centro clinico che cura i reclusi
di mezza Italia. E un centinaio tra assistenti e volontari esterni. A tutti
loro, cosa promette?
«Ho voluto incontrare personalmente in primo luogo i detenuti,
per aprire un dialogo in un clima di serenità. A tutti ho detto
chiaramente che il carcere, agli occhi dell'opinione pubblica, ha una sua
funzione. E che, se la cittadinanza reclama più sicurezza, noi siamo
tenuti ad assicurarla. Ma ho aggiunto che, con il controllo, io intendo
garantire più lavoro e più partecipazione. Con iniziative
concrete».
Sembra un paradosso, ma il lavoro nelle carceri, oggi, è quasi
un privilegio. A Opera, su 1.100 reclusi, quanti sono gli ammessi a un'occupazione?
«Duecento in tutto», confessa il direttore, spiegando che,
anzi, il dato è «superiore alla media nazionale». «Ora
- prosegue Mellace - abbiamo anche 70 iscritti alle scuole superiori, un
gruppo teatrale e lezioni di psicologia sociale. E poi ci sono i corsi
professionali per mobilieri, fornai, tipografi e la sartoria per le detenute».
In tempi di emergenza-sicurezza, sarebbe facile ricordare che il crimine
si previene proprio con progetti di questo genere. Ma Mellace non ama i
discorsi astratti: «Preferisco cercare sbocchi concreti. Vorrei ringraziare
soprattutto le associazioni, come "Il Bivacco" di area cattolica, che ci
aiutano a garantire un lavoro esterno a chi ne avrebbe i requisiti teorici.
I semiliberi, qui a Opera, sono circa 70. La questione di fondo, per un
direttore, è proprio questa: contemperare lavoro e sicurezza».
Qual è il problema più grave, a Opera? «La drammatica
carenza di personale per il trattamento rieducativo sui detenuti. Qui dentro
abbiamo soltanto tre educatori per 1.100 reclusi. Tre persone che lavorano
in emergenza continua. Io li chiamo così: i nostri eroi».
Pa. B. ,
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