A rischio giusto processo e federalismo 

da Il Sole 24 ore del 24.6.99

ROMA — Giusto processo, incompatibilità Gip-Gup, gestione dei pentiti: è di nuovo alta tensione tra maggioranza e opposizione sui temi caldi della giustizia. L’attacco parte dal Polo, che accusa il Centro-sinistra di «squadrismo giustizialista», di aver «accantonato le offerte di dialogo, rinnegato i voti già espressi, calpestato gli appelli del Capo dello Stato». E di aver messo in atto, all’indomani delle elezioni europee, una «strategia di ritorsione politica e giudiziaria». Silvio Berlusconi elenca una seri di indizi: il ripescaggio del conflitto di interessi; il divieto degli spot elettorali; il «colpo di mano» sul doppio turno nell’elezione dei presidenti regionali. E poi: il «rinvio sine die» della riforma sul giusto processo, accompagnato dalla richiesta di correzioni; il «voltafaccia» del ministro Diliberto e della sua maggioranza sull’incompatibilità tra Gip e Gup; «l’attacco» al presidente dell’Antimafia Ottaviano Del Turco sulla gestione dei pentiti. «Ma Forza Italia non si piegherà», assicura il leader azzurro. Mentre i suoi colonnelli, poco dopo, si appellano al presidente della Repubblica e al ministro della Giustizia. E avvertono: senza un «un segnale di apertura» è meglio mettere una pietra sulle riforme. Un ultimatum, insomma, condiviso da Sebastiano Neri di Alleanza nazionale e da Carmelo Carrara del Ccd.
I primi segnali di guerra risalgono alla settimana scorsa. Forza Italia non ha gradito il ripensamento della maggioranza sull’entrata in vigore dell’incompatibilità tra Gip e Gup, benché fosse giustificato dal monitoraggio del ministero della Giustizia, che segnalava 1.600 procedimenti potenzialmente a rischio di azzeramento (tra cui "toghe sporche", dov’è imputato anche Cesare Previti), qualora la nuova incompatibilità fosse scattata prima del 2 gennaio 2000 e applicata ai processi in corso. L’anticipazione era prevista da un emendamento approvato all’unanimità dalla commissione Giustizia del Senato, da cui la maggioranza ha preso le distanze dopo aver visto gli allarmanti dati del ministero. Così è nato un nuovo emendamento, presentato mercoledì scorso, che pur anticipando l’incompatibilità, ne esclude l’applicazione ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della nuova legge (cioè entro il 23 luglio). 
Forza Italia ha subito minacciato fuoco e fiamme in Aula, al momento del voto. Le scintille sarebbero dovute andare in scena questa settimana, poiché il decreto legge sul rinvio del giudice unico (in cui si trova la norma sull’incompatibilità) era inserito nel calendario dell’Aula già da martedì. Ma l’assenza del relatore Guido Calvi (ad Instambul per assistere, come rappresentante del Parlamento italiano, al processo Ocalan) ha fatto slittare tutto al 30 giugno. Non anche, però, le cannonate dell’opposizione. A sparare sono stati, durante una conferenza stampa, il capogruppo di Fi al Senato, Enrico La Loggia, il senatore Marcello Pera e il deputato Gaetano Pecorella. Quest’ultimo ha fatto sapere di aver rimesso il mandato di relatore del Ddl di riforma del giusto processo per protestare contro la decisione della Conferenza dei capigruppo di rinviarne l’esame in Aula (previsto inizialmente per fine giugno) a dopo il dibattito con il presidente del Consiglio (fissato per il 6 e 7 luglio), anche per abbinarlo all’altra riforma costituzionale in cantiere, quella sul federalismo (per entrambe, la commissione Affari costituzionali ha nominato un comitato ristretto che dovrà predisporre un testo, alla luce delle indicazioni emerse durante la discussione generale). Una decisione, quella del rinvio, che Fi considera «molto grave» perché, a suo giudizio, l’articolato sul giusto processo licenziato dal Senato non dovrebbe essere modificato.
«Noi siamo favorevoli con qualche modifica alla norma sul giusto processo ma vorremmo portare a compimento — ha replicato il diessino Fabio Mussi — anche l’elezione diretta del presidente della Regione, la riforma federalista dello Stato e il mutamento della forma di Governo». Quanto alla giustizia, Mussi risponde per le rime alle accuse di Forza Italia: «Berlusconi ha una strana idea della giustizia: se un imputato è ricco o è un politico, magari vicino a lui, è innocente per definizione e colpevoli sono i giudici. Invece — aggiunge il capogruppo Ds alla Camera — la regola del garantismo vero recita che i cittadini sono uguali davanti alla legge, che la magistratura è autonoma, che c’è un’accusa, una difesa e un giudice terzo che emette una sentenza. Questo è garantismo. La verità è che Berlusconi non è né garantista né liberista».
Donatella Stasio