Il procuratore Vigna: serve una legge, inaccettabili le rivelazioni... a rate

da La Gazzetta del Sud del 24.6.99

Paolo Pollichieni REGGIO CALABRIA – Il Procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna non vuole entrare nel merito delle polemiche politiche attorno ai collaboratori di giustizia, rimarca, però, i ritardi con i quali il Parlamento sta affrontando tali problematiche. Lo incontriamo nella questura di Reggio Calabria, dove presiede un incontro di studio con colleghi australiani sulle sinergie criminali della 'ndrangheta calabrese in Australia. Gli chiediamo se condivide i giudizi espressi dal presidente della Commissione parlamentare antimafia, Ottaviano Del Turco. Ci risponde: «Non esprimo alcuna opinione sulla vicenda che ha visto il presidente Del Turco al centro di alcune polemiche. È un dibattito interno ad un'istituzione parlamentare e quindi politica, quel dibattito non mi appartiene. Come procuratore nazionale, però, dico che deve essere immediatamente approvata una nuova legge per i collaboratori di giustizia. Quella attuale ormai è vecchia e gli investigatori su questa non hanno fatto altro che esperimenti. Adesso sappiamo che servono dei correttivi e li abbiamo anche individuati ma non è compito nostro concretizzarli, per farlo serve una nuova legge che mi pare sia ferma da anni in Commissione giustizia». Pierluigi Vigna spiega anche quali modifiche debbono essere apportate: «Fermo restando che nessuno che voglia veramente contrastare il crimine organizzato può pensare di mettere in soffitta lo strumento collaboratori di giustizia, si tratta di evitare degenerazioni o usi strumentali che pur possono essersi verificati. Il punto è – aggiunge Vigna – che non si devono consentire ai collaboratori di giustizia affermazioni a rate. Intendo dire che va previsto espressamente, con la nuova legge, che quando il collaboratore è in mano all'autorità giudiziaria che ne avvia la gestione, questi deve essere impermeabilizzato. Intendo dire che da quel momento e per tutto il tempo necessario ad approfondire ogni aspetto delle sue dichiarazioni, il collaboratore va isolato da tutto e da tutti. Rapidamente si dovranno raggiungere elementi che ne certifichino la credibilità e la genuinità e poi si passa alla puntigliosa verbalizzazione di ogni cosa che ricade sotto la sua diretta, dico diretta e non “de relato”, percezione. Tutto si chiude in questa fase senza appendici e senza improvvisi recuperi di memoria». Su un altro punto il capo della Dna è risoluto: «I collaboratori di giustizia, per essere ammessi ai benefici previsti dalla legge, oltre che parlare dei delitti commessi e dei componenti l'organizzazione, devono dire anche dei profitti conseguiti. Indicare le vie del riciclaggio ed i patrimoni accumulati, perché spesso su questo versante fanno i furbi». Poi Vigna torna a battere sul tasto delle “responsabilità istituzionali”: «È chiaro che la legge del '91 non può restare operativa senza provocare a giorni alterni infuriate polemiche, ma a polemizzare spesso sono le stesse persone cui spetta il compito di varare una nuova normativa. Insomma, deve essere al più presto approvata dal Parlamento la nuova legge sulla regolamentazione dei collaboratori di giustizia».