Se la giustizia chiude per ferie 

da Il Sole 24 ore del 24.7.98

di Mario Chiavario
Ogni lavoratore — dice l’articolo 36 della Costituzione — ha diritto a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi: è, lo sappiamo, uno scudo contro eventuali tentativi di far leva su più o meno pressanti stati di bisogno o anche soltanto su calcoli di convenienza economica per indurre un soggetto a mettere nel nulla esigenze primarie di riposo e di riciclaggio psicofisico.
Ai magistrati, dal canto suo, la legge di ordinamento giudiziario assicura un periodo annuale di ferie di 45 giorni, la cui precisazione avviene a opera del Csm con circolari che anno per anno individuano tale periodo tenendo conto anche dei giorni festivi intermedi: cosicché, per poco meno di due mesi, tra l’ultima decade di luglio e la prima quindicina di settembre, negli uffici giudiziari è garantito solo il funzionamento delle apposite “sezioni feriali”, istituite per il disbrigo degli affari più correnti, come i giudizi per direttissima nei confronti degli arrestati in flagranza.  Per gli avvocati, liberi professionisti, la sacralità della pausa feriale non è normativamente riconosciuta con altrettanta specificità, ma il loro diritto al riposo estivo è egualmente tutelato, per via indiretta, da una disciplina sui termini processuali che, stabilendone in via generale la sospensione dal 1º agosto al 15 settembre di ogni anno, garantisce in pratica un’attività, di studio e di udienza, particolarmente ridotta in corrispondenza al periodo delle ferie dei magistrati.
La stessa legge sulla sospensione feriale prevede, a dire il vero, una serie di deroghe alla regola generale, volte a consentire comunque il decorso dei termini — e pertanto tutta una serie di attività processuali — in determinati casi: in particolare, essa stabilisce che in materia penale tale sospensione non opera nei procedimenti relativi a imputati in stato di custodia cautelare, quando essi o i loro difensori rinunzino alla sospensione medesima; ed è altresì attribuito, al giudice che procede, il potere di scongiurare la sospensione con un’apposita dichiarazione di urgenza del processo, qualora la prescrizione maturi durante il periodo indicato o nei successivi 40 giorni e, quel che più conta, se in quel periodo scadano o siano prossimi a scadere i termini massimi di detenzione dell’imputato. Del resto, già l’ordinamento giudiziario stabilisce che «durante il periodo feriale dei magistrati le Corti e i tribunali trattano le cause penali relative a imputati detenuti o a reati che possano prescriversi o che comunque presentano carattere di urgenza».
In teoria, il sistema non impedirebbe dunque che i dibattimenti già iniziati
? tanto più se con imputati detenuti — venissero portati avanti a oltranza anche nel periodo estivo; ma, di fatto, ciò non accade, almeno se non c’è uno specifico interesse della difesa. Anzi, spesso, sono proprio gli avvocati i più interessati alla pausa, non tanto per ragioni personali, ma, proprio quando il loro difeso è in carcere, perché, durante la sospensione del dibattimento, continuano a decorrere i termini che fanno maturare il diritto alla scarcerazione “automatica”. D’altro canto, il principio di immutabilità del giudice dibattimentale non permette neppure di affidare alle sezioni feriali la prosecuzione dei giudizi che non si siano potuti esaurire tempestivamente.
Rimane pur sempre difficile dar torto al cittadino comune, se scuote il capo sconsolato quando legge, ad esempio, che nel processo per l’uccisione di Marta Russo si è passati, dalle infuocate battaglie attorno alle deposizioni di questo o quel teste, a un tranquillo «arrivederci a settembre». In discussione non è ovviamente il diritto alle ferie di alcuno; e non si vuol nemmeno dire che stia qui una delle principali cause di quei ritardi della nostra giustizia, che magistrati e avvocati sono fra i primi a denunciare. Del resto, è risaputo che molti fra loro utilizzano proprio buona parte delle ferie, vuoi per scrivere motivazioni di sentenze, vuoi per impostare o corroborare tesi accusatorie o difensive in processi imminenti. Senza dire che, per chi a sua volta sia in qualche modo partecipe, vivendo nel mondo della scuola, di altri squilibri nella distribuzione tra lavoro e “tempo libero”, sarebbe assai disagevole impostare senza imbarazzi un discorso radicalmente critico su questi temi, rispetto a un campo che lo vede soltanto come osservatore.  Resta il fatto che l’impressione globale, ricavabile anche dall’immagine di quest’aspetto del funzionamento del mondo della giustizia, non è delle migliori. Chissà se avrà l’agio di porvi qualche rimedio il nuovo Consiglio superiore della magistratura, per la cui travagliata formazione tante energie si spendono in questi giorni, nella pur comprensibile — ma ha da essere proprio quella primaria? — preoccupazione per delicati equilibri politico-istituzionali...