Detenuti in cerca di posti di lavoro

da Il Sole 24 ore del 24.5.99

Il lavoro in carcere aumenta impercettibilmente, ma l’85% dei detenuti "lavoratori" svolge in realtà mansioni per così dire domestiche, prive di qualsiasi contenuto professionale: dalla pulizia degli spazi comuni, ai lavori manuali nelle cucine, alla distribuzione del cibo e della posta. Tutte cose utili per la quotidianità della comunità carceraria, ma senza alcun riferimento ai nobili e avanzati obiettivi della pena come rieducazione, e del reinserimento sociale ed economico degli ex detenuti.
Secondo la relazione al Parlamento dell’amministrazione penitenziaria sul lavoro dei detenuti nel 1998, annunciata nei giorni scorsi in Parlamento (documento CXVIII, n. 3), su una popolazione a fine anno di 47.560 detenuti, il 21,77% (10.356 persone) svolge lavori alle dipendenze dell’amministrazione, rispetto al 20,81% dell’anno precedente (che aveva fatto segnare una flessione sul ’96). Le vere e proprie lavorazioni penitenziarie (cioè attività produttive realizzate all’interno) sono 88 (erano 86) e coinvolgono 1.602 detenuti (892 in attività agro-industriali; 710 in interventi di manutenzione).
In discesa invece, da 1677 a 1483, i detenuti ammessi alle misure premiali (semiliberi, permessi per il lavoro esterno e a domicilio) e occupati alle dipendenze di terzi, essenzialmente nelle cooperative sociali.
In questo scenario non roseo, migliori prospettive potrebbero essere schiuse dal disegno di legge Smuraglia approvato dal Senato il 27 aprile scorso e ora alla Camera. La riforma estende ai veri e propri detenuti la qualifica di «persone svantaggiate» per le quali la legge 381/91 sulle cooperative sociali concede l’azzeramento delle aliquote contributive.
Nel nuovo caso non è previsto l’azzeramento, ma una riduzione percentuale determinata ogni due anni dal ministro del Lavoro. Per favorire il reinserimento, la riduzione contributiva spetta anche a pena espiata, per altri sei mesi.
La vera novità, sottolineata dal relatore Duva, è però l’estensione del meccanismo a tutte le aziende pubbliche e private che stipulino convenzioni con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per organizzare attività produttive e servizi all’interno degli istituti; nonché l’ulteriore previsione di sgravi fiscali, la cui quantificazione è però ancora rimessa a un decreto annuale Giustizia-Lavoro-Tesoro, nei limiti delle disponibilità finanziarie, inizialmente modeste ma non irrisorie: 9 miliardi l’anno, nel biennio 1999-2000.
A.Cia.