Questa volta nessun rinvio

da Il Corriere della sera del 24.5.99

Il Consiglio dei ministri, venerdì prossimo, approverà la riforma dei Servizi segreti. Il vicepresidente del Consiglio, Sergio Mattarella, ha completato il lavoro preparatorio affidatogli da Massimo D'Alema e sarà in grado di illustrare al governo il «nuovo ordinamento del sistema di informazione e sicurezza dello Stato». 
Come usa dire, speriamo che sia la volta buona, ma l'esperienza consiglia una sorvegliata prudenza. Troppe volte annunciata, la «riforma della riforma» è stata sempre soffocata nella culla da resistenze delle burocrazie, veti dei ministeri e timori (o convenienze) del ceto politico. E' da undici anni che inutilmente governi e parlamenti annunciano di voler mettere le mani in quel cesto di segreti e spioni che tutti spaventa. Anche se, ritualmente, a ogni aggressione alla sicurezza dello Stato - terroristica, mafiosa, criminale o di teste matte - la classe politica ha convenuto sulla necessità di dare al «grande gioco» un ordinamento che garantisca, con la sicurezza del Paese, la serenità dei cittadini e delle istituzioni. 
Di riforma della legge 801, che oggi regola l'attività dei servizi segreti, se ne cominciò a parlare nel 1988. Quell'anno, otto di agosto, Oscar Luigi Scalfaro lascia, dopo quattro anni, la seggiola di ministro degli Interni. E si abbandona a una confessione: «Una volta qualcuno mi disse: "Beato lei che da ministro ha tante possibilità... di sapere". Bene, non so a che cosa alludesse questo qualcuno. Io so che sono uscito dal ministero senza aver chiesto nulla, dico nulla, a nessuno. E però, d'altra parte, so che qualcuno, da fuori, ha chiesto a qualche personaggio dei servizi di sicurezza... qualche favore o informazione». 
Ne nacque un'indagine conoscitiva, la consueta bozza di «proposta organica», l'abituale nulla di fatto. Se ne riparlò cinque anni dopo, nel 1993, in coda all'assoluto niente informativo prodotto dalle nostre barbe finte di fronte all'aggressione al tritolo di Cosa Nostra. Il 1993 fu anche l'anno del primo scandalo finanziario che scoperchiò la pentola dei fondi neri del Sisde, versamenti miliardari che finivano nelle tasche di spioni, ministri, exministri, segretari di ministri, funzionari dello Stato, poliziotti. Il governo, presidente Carlo Azeglio Ciampi, decise di dare un taglio netto e iscrisse in agenda la riforma. Anche allora non se ne fece nulla. 
La questione ritornò a galla nel 1997. Le «veline» dei servizi segreti terrorizzavano Romano Prodi avvertendolo di torbide manovre sulla lira in corso sulle principali piazze finanziarie del mondo. Il capo del governo si metteva al telefono e con qualche oculata chiacchierata a Londra o a New York smascherava da solo la bufala. Ce n'era a sufficienza per convincere Romano Prodi che «i servizi dovevano essere riformati». Fu costituita una commissione presieduta dal generale Roberto Jucci. Quando concluse i suoi lavori, la riforma sembrava cosa fatta e così, ancora una volta, non fu. Il progetto fu congelato e quasi dimenticato. E' stato riesumato alla fine dello scorso anno e gli infortuni degli ultimi mesi (dall'ecoterrorismo al caso Ocalan), con una guerra fuori della porta di casa e il ritorno delle Brigate rosse nel cortile di casa, hanno convinto il governo a rompere finalmente ogni indugio. 
Le soluzioni tecniche a confronto sono dal 1988 soprattutto due. Modello binario con un criterio prevalentemente territoriale estero-interno con un servizio che svolge tutti i compiti di intelligence e counter-intelligence e servizio interno che affronta i compiti della sicurezza ad di qua dei confini nazionali. Struttura unitaria e fortemente accentrata che, soltanto al suo interno, riproduce la divaricazione tra un «dipartimento interno» e un «dipartimento estero», «rami operativi della stessa organizzazione». 
Quale che sia la soluzione tecnica che Sergio Mattarella proporrà, gli obiettivi della riforma devono rispondere soprattutto a tre domande. Chi avrà la diretta e forte responsabilità politica del lavoro o dell'inefficienza dei servizi segreti? 
Troppe volte i ministri della Difesa e degli Interni hanno ballato la rumba del «non sapevo nulla, non mi hanno detto nulla». Come garantire, da un lato, la vita dei cittadini dalle iniziative deviate dei servizi e, nel contempo, la serenità degli agenti segreti che correttamente svolgono il loro lavoro atipico, «sporco» e per definizione non limpido? Attraverso quali cicli di formazione vanno assicurati a questi delicati organismi nuovi e preparati professionisti in grado di ottenere i risultati che la rinnovata realtà sociale interna e il nuovo clima internazionale impongono all'intelligence? 
Speriamo che sia la volta buona e che davvero, venerdì, il Consiglio dei ministri approvi la riforma. Un'Italia europea non può conservare nel suo corpo istituzionale una struttura di informazione e sicurezza così inaffidabile e inefficiente e un sistema di regole così incartapecorito. 
di GIUSEPPE D'AVANZO