«Tu
mi intercetti: ma quanto mi intercetti?»
da Il Sole 24 ore del 25.1.99
È bastato all’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga,
vedere in anteprima il film “Nemico pubblico”, per rilanciare l’allarme
sul Grande fratello che tutto e tutti intercetta; e per riaprire il dibattito
tra favorevoli e contrari, tra quanti mettono in guardia dall’avvento di
uno Stato di polizia (ma, in tal caso, più che di Stato, si dovrebbe
parlare di Mondo) e quanti ricordano che la criminalità usa alla
grande le nuove tecnologie, mentre chi dovrebbe contrastarla arriva tardi
e incontra perfino ostacoli. L’unica fotografia attualmente disponibile
risale al quinquennio 1992-1996, e fu illustrata alla Camera il 21 ottobre
1997 dal ministro della Giustizia, in risposta a un’interrogazione di numerosi
deputati dell’opposizione. Nella risposta e nelle tabelle depositate,
il ministro sottolineò l’evoluzione nel numero di decreti di intercettazione
autorizzati nel corso dei diversi anni, dai 15mila del 1992, ai quasi 44mila
del 1996; e, in termini di costi, dai 18miliardi di lire del primo anno,
agli oltre 73 di fine periodo. In totale, 115mila decreti, per 181 miliardi
di lire.
È tanto? È poco? Per cominciare, non è tutto.
I decreti di cui si parla riguardano solo le intercettazioni chieste dal
pubblico ministero e autorizzate dal giudice nel corso dei procedimenti
penali. A parte qualche incompletezza nella trasmissione dei dati dagli
uffici giudiziari al ministero, anche i criteri non sono omogenei: ci sono
uffici giudiziari che contano una sola intercettazione anche quando l’originale
decreto sia seguito da provvedimenti di proroga, altri contano anche i
decreti di proroga; al contrario, ci sono uffici che contano tante intercettazioni
quante siano le utenze intercettate, sia pure all’interno di un unico provvedimento,
mentre la maggior parte di essi considera una solta intercettazione anche
quando si riferisca a più utenze.
Poche o molte, queste sono le intercettazioni autorizzate. Il dibattito
su di esse può riguardare il tuttora irrisolto riequilibrio tra
garanzie e strumenti investigativi; tra (legittima) invasività dei
mezzi di indagine e tassatività del loro utilizzo processuale e
pubblico (per esempio, sui mezzi di informazione; si veda l’articolo sopra).
Ma a far temere il Grande fratello non sono (non dovrebbero essere) queste
intercettazioni; sono quelle ignote e quelle illegittime (i due concetti,
si vedrà, non coincidono). Quelle illegittime non dovrebbero
esistere, ma a parlarne insistentemente è pur sempre un ex Presidente
della Repubblica, grande esperto e appassionato di comunicazioni e di tecnologie
elettroniche. Come non rifletterci?
Va ricordato che le leggi speciali in tema di mafia e criminalità
organizzata contemplano anche altre forme di intercettazioni legittime,
che tuttavia restano normalmente ignote agli interessati. È il tristemente
famoso decreto antimafia del 1992 a prevedere intercettazioni preventive,
autorizzate dai procuratori distrettuali, su richiesta del ministro dell’Interno,
o del direttore della Dia, dei questori o dei responsabili dei corpi speciali.
Si tratta in buona sostanza di attività di prevenzione, di intelligence,
priva di qualsiasi rilevanza processuale (può offrire, però,
importantissimi spunti investigativi) e dovrebbe riguardare solo l’intercettazione
di gravi delitti di criminalità organizzata e droga (ma, trattandosi
di prevenzione, solo a posteriori si potrà verificarne la fondatezza).
C’è poi una più antica misura di prevenzione, introdotta
nel 1982 e riferita alle persone pericolose per la sicurezza pubblica cui
sia applicata la sorveglianza speciale o l’obbligo di residenza e dimora
previsti dalla legge del ’56. In tal caso sono i procuratori della Repubblica
ad autorizzare la polizia giudiziaria, e le informazioni sono sempre inutilizzabili
sul piano processuale.
Salvo l’ultimo caso, tutti i tipi di intercettazione non riguardano
soltanto il traffico telefonico, ma anche le nuove forme di comunicazione
telematica e informatica (dal fax alla posta elettronica) nonché
le più note intercettazioni ambientali, il cui numero e il cui costo
non risultano neppure tra le rilevazioni dei decreti autorizzati. Ecco
che si torna al punto di partenza: il vero problema non è tanto
l’intercettabilità dei moderni sistemi di comunicazione, quanto
l’assoluto rispetto dei criteri che l’autorizzano e la tassatività
dei casi di utilizzo successivo. Mentre il Garante per la privacy si preoccupa
dei 14 miliardi di telefonate annue di cui resta traccia sui tabulati delle
concessionarie (traccia che è cosa ben diversa dalle intercettazioni),
la rete satellitare anglo-americana Echelon conserva traccia di tre miliardi
di “transazioni” al giorno. Può smascherare traffici mafiosi tra
Ucraina e Calabria, com’è avvenuto; ma c’è chi teme possibili
usi deviati, presenti o futuri: i peggiori spionaggi e ricatti senza confini.
Angelo Ciancarella
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