Contro
la pena di morte
da Il Mattino del 26.1.99 Una pratica di tortura. Che esiste dalla notte dei tempi. Ma anche un’«ingiustizia
letale»: alla quale - e questa è la novità - la metà
del mondo ha iniziato a dire «no», negli ultimi due secoli.
È la pena di morte, ancora giustificata in molti stati come deterrente
pedagogico contro il male, o come «strumento» di «equa»
vendetta, nell’ottica arcaica dell’«occhio per occhio dente per dente».
Ma qualcosa, finalmente, si sta muovendo. A dispetto dell’implicito avallo
che pure menti eccelse, punte alte dello spirito e del pensiero occidentale
hanno fornito alla pena capitale, assieme alle più rozze convinzioni
della gente comune: da Platone a Rousseau, da Kant fino ad Hegel. È
la mobilitazione capillare che risponde al comandamento «Non uccidere»,
che non a caso è anche il titolo di un libro curato da Mario Marazziti,
della Comunità di S. Egidio (Guerini e Associati, pagg. 205, lire
19mila), presentato sabato nella sala Maria Cristina del chiostro di S.
Chiara. Ad ascoltare le ragioni sul «perché è necessario
abolire la pena di morte» - illustrate, nelle diverse ottiche, dal
giurista Moccia, ordinario di Diritto penale, da monsignor Settimio Cipriani,
già decano della Facoltà teologica, dal filosofo Aldo Masullo
e dal curatore del volume - circa cinquecento persone: giovani e meno giovani,
lavoratori e intellettuali, napoletani illustri e gente comune, della periferia
e del centro.
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