Il
paradosso del Quirinale
da La Repubblica del 26.5.99
di STEFANO RODOTÀ
APPENA eletto il nuovo presidente della Repubblica si è subito
materializzato quello che potrebbe essere chiamato "il paradosso di Ciampi".
Infatti, uscendo dall' aula di Montecitorio dove s'era compiuto il miracolo
dell'elezione al primo scrutinio di una personalità indiscutibile,
molti parlamentari si erano affrettati a dichiarare che, comunque, il passo
successivo sarebbe stato quello dell'elezione diretta del capo dello Stato.
La singolarità di queste dichiarazioni è stata immediatamente
sottolineata da chi ha rilevato come ci si sarebbe dovuti aspettare la
conclusione opposta, visto che il Parlamento era riuscito a dimostrare
una capacità di decidere bene e rapidamente che, quindi, gli restituiva
la legittimazione a rimanere protagonista di una scelta tanto impegnativa.
Perché, allora, una così singolare schizofrenia?
Questo paradosso ci porta nel cuore del problema costituzionale, a
quel rapporto tra cittadini e istituzioni che appare sempre più
segnato dalla sfiducia, arduo da ricostruire. Il Parlamento non ritiene
più di poter essere il luogo dove comincia questa ricostruzione.
Si è lasciato spossessare dai referendum del potere di decidere
su questioni essenziali, come la legge elettorale. Soffre della declinante
partecipazione al voto dei cittadini, che attribuisce una legittimazione
debole agli eletti. È osservato in modo implacabile e aggressivo
dalle televisioni che svelano i vuoti nelle aule, le disattenzioni dei
parlamentari.
Forse, eleggendo Ciampi, il Parlamento è stato quasi sorpreso
dal suo stesso ardire. Non è riuscito a percepire questo come un
segno di vitalità, come un fatto sul quale pazientemente costruire
una nuova legittimazione. Non ha voluto o saputo dire all' opinione pubblica
che quella vicenda era l'avvio d'un corso istituzionale più incisivo
e responsabile, non ha proiettato questa rinnovata centralità del
Parlamento al di là dell'occasione. Così, ha immediatamente
ridimensionato la portata politica e istituzionale di quell'evento, confinandolo
nel mondo delle eccezioni. Non un'indicazione per il futuro, ma un fatto
irripetibile.
Ma proprio l'elezione di Carlo Azeglio Ciampi obbliga a una rinnovata
analisi costi/benefici dell'elezione parlamentare e di quella diretta del
presidente della Repubblica. Questa volta, infatti, l'accento è
stato posto con molta forza, con enfasi addirittura, sulle qualità
del prescelto, sul metodo seguito, sulla larga convergenza delle forze
politiche. Ora l'elezione diretta avrebbe reso assai difficile la stessa
candidatura di una persona come Ciampi; avrebbe esaltato il momento della
comunicazione televisiva, e quindi soprattutto l'immagine dei candidati;
avrebbe portato a una contrapposizione netta, che avrebbe reso assai difficile
al vincitore di presentarsi immediatamente come il custode dell'unità
nazionale, come ha potuto fare, invece, Ciampi. Tutto l'opposto, dunque,
di quel che è accaduto poche settimane fa, e che tutti hanno segnalato
con accenti positivi.
SI dirà che l'affidare ai cittadini la scelta del Presidente
porta con sé un tale "valore aggiunto", in termini di ripresa di
fiducia nel sistema istituzionale, da far superare ogni perplessità.
Ineludibile, tuttavia, mi pare una considerazione approfondita del rapporto
tra ogni forma di intervento diretto dei cittadini e mezzi di comunicazione:
l'ambiente informativo è così profondamente mutato che parlare
oggi di elezione diretta ha un significato del tutto diverso da quello
che la stessa proposta aveva cinque o dieci anni fa.
La questione non è nuova, è tornato a sollevarla il senatore
Agnelli proprio al momento dell'elezione di Ciampi, ne ha discusso su questo
giornale Giovanni Valentini. Per scongiurare il rischio di una candidato
"eletto dalla televisione", tra populismo e manipolazione dell'opinione
pubblica, può bastare una buona disciplina della proprietà
delle reti e dei tempi concessi ai candidati?
Queste sono misure sicuramente necessarie, ma non risolutive. Viviamo
ormai in un ambiente sociale profondamente segnato dalla comunicazione
televisiva, dall'insieme della "tecnopolitica", e di questo bisogna tener
conto quando si progettano innovazioni costituzionali. Le possibili distorsioni
vanno considerate fin dall'origine: se si innesca un meccanismo che porta
con sé un ruolo preponderante del sistema dei media, sarà
poi vano cercare di limitarlo con qualche accorgimento settoriale.
Le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione offrono
grandi opportunità alla presenza dei cittadini nell'intero arco
dei processi politici. Guai se questa possibilità fosse circoscritta
soltanto al momento della decisione finale, e se non si cercasse di integrare
le forme della democrazia rappresentativa con gli strumenti della democrazia
diretta. Questo può essere proprio il caso dell'elezione del presidente
della Repubblica, se si decide di abbandonare il sistema che ha appena
dato una così buona prova. Si può ricordare, ad esempio,
che all'Assemblea costituente Egidio Tosato aveva proposto di ricorrere
al voto popolare se il Parlamento non avesse eletto il Presidente nei primi
tre scrutini: i cittadini avrebbero dovuto scegliere tra due candidati
indicati dalle Camere, uno per la maggioranza e uno per la minoranza. Ora
questa proposta, che combina la spinta per una rapida decisione e una sorta
di "primarie in Parlamento", è stata ripresa da Antonio Maccanico.
Perché non considerarla?
L'integrazione tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta
suggerisce altre sperimentazioni. Si può rivitalizzare l'iniziativa
legislativa popolare, prevedendo che le Camere debbano esaminare le proposte
di legge dei cittadini: se non lo fanno entro un certo termine, quelle
proposte vengono sottoposte a referendum. Tra l'altro, questo sarebbe un
modo di riprendere seriamente in considerazione l'istituto del referendum,
screditato dall'uso sgangherato di questi anni, e per aprire un canale
di comunicazione tra cittadini e Parlamento che non sarebbe assicurato
dalla sola introduzione del referendum propositivo.
I rapporti tra cittadini e istituzioni, tuttavia, non sono soltanto
quelli che riguardano i vertici dello Stato. Vivono soprattutto nella fitta
trama delle relazioni quotidiane. Segnalo solo due casi, legati a cronache
recenti. Analizzando il diffondersi della concertazione, Ilvo Diamanti
ha sottolineato il rischio di una chiusura del sistema, legata alla esclusione
di tutti coloro che non vengono direttamente coinvolti in quel tipo di
accordi. E, considerando le ragioni del radicale calo della natalità,
non si può ignorare che questo è pure l'effetto della mancanza
di politiche adeguate nel settore della casa e dei servizi. Ma la ripresa
di politiche per la famiglia non può essere limitata alla sola famiglia
costituita secondo i criteri formali: l'ultimo Rapporto dell'Istat ci impone
di considerare una variegata tipologia di famiglie, nella quale compaiono
coppie di fatto, famiglie con un solo genitore, famiglie derivanti dalla
scomposizione/ricomposizione di precedenti nuclei familiari.
I cittadini esigono attenzione soprattutto per queste realtà,
che li coinvolgono in ogni momento della loro vita. Solo partendo da qui,
e non con la promessa di qualche voto "diretto" ogni quattro o sette anni,
può essere ricostruito un vero rapporto di fiducia con le istituzioni.
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