"Nessun dietrofront sui benefici ai detenuti" 

da La Repubblica del 27.7.99

di LIANA MILELLA 
ROMA - "Per battere qualsiasi nemico bisogna essere realisti. Non si fanno nuove legge sull'onda dell'emergenza. Soprattutto in un caso come questo che, per essere risolto, ha bisogno soprattutto di adeguate soluzioni tecniche". Il procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna non è uno di quei tipi che perde la calma. Non gli è successo neppure di fronte alle stragi di mafia e non gli accade certamente adesso davanti alla massiccia richiesta di sicurezza che arriva dalla gente comune. Lui fa un invito esplicito: "Attenzione a non tornare indietro su leggi come quelle dei benefici carcerari che hanno funzionato bene. Non si fanno mai norme su singoli casi. Sono i grandi numeri quelli che contano".
Ma come, davanti all'ennesimo episodio in cui gente che dovrebbe stare in galere uccide, lei invita alla moderazione?
"Io faccio un discorso realistico. Non si può allungare la custodia cautelare, né sopprimere la detenzione domiciliare o l'affidamento ai servizi sociali per ragioni molto semplici. Ci sono i principi della Costituzione e ci sono i numeri...".
Che significa i numeri?
"Che vogliamo tornare indietro sui benefici solo quando scopriamo che chi li ha ottenuti ha commesso un grave fatto di sangue, ma senza valutare e ragionare in modo adeguato sugli effetti positivi". 
E lei avrebbe il coraggio di parlare così a una delle vittime? 
"Se vogliamo discutere di politica criminale, allora dobbiamo guardare i lati negativi e quelli positivi. Se su cento persone una sola delinque, si va avanti. Se, sulle stesse cento, delinquono in 99 allora si cambia. Questo significa tener conto dei numeri. Certo, può apparire un ragionamento cinico, ma è così".
Cerchiamo di capirci: che intende lei per fatti negativi e positivi?
"Mi spiego con un esempio. Negli anni Settanta, quando ero pubblico ministero a Firenze, un giorno sì e uno no dovevo correre da una parte all'altra per sedare rivolte nelle carceri. Poi la legge cambiò, arrivarono i benefici e quelle ribellioni ora sono solo un ricordo".
Insomma, lei dice che non si può tornare indietro sulle concessioni ai detenuti? 
"No, perché non è realistico, né costituzionalmente corretto".
Non si può allungare la custodia cautelare?
"No, lo escludo. Perché dovrebbe durare esattamente quanto durano i processi, che sono lunghissimi. La via è un'altra: bisogna far durare pochissimo i dibattimenti. Ci vogliono più magistrati, soprattutto dal prossimo gennaio quando il gip dovrà essere diverso da gup. Già adesso, in molte città ad alto tasso criminale, i pm aspettano quattro-cinque mesi per ottenere un arresto. Bisogna fare in fretta".
Ma anche con i processi rapidi la gente otterrà i benefici.
"E io ribadisco che non sarebbe corretto abolirli. Ci sono altre strade. Oggi il giudice, prima di concedere un permesso, chiede un parere motivato. Nella maggior parte dei casi la gente esce per buona condotta. Solo un pazzo, stando in galera, si comporterebbe male. Quindi possono uscire tutti. E' lì che bisogna agire. Ci vogliono operatori professionali più adeguati perché spesso gli accertamenti sono lacunosi". 
E una volta che sono usciti che si fa?
"Ci vogliono i controlli che, per ovvie ragioni, non possono essere diretti, ma elettronici".
Ripropone il famoso braccialetto? 
"Può essere anche un orologio Swatch oppure una spilla, come negli Usa e in Inghilterra, dove i risultati sono stati ottimi. Ma non basta solo questo: ci vuole anche il deterrente della punizione per chi viola. Per esempio, un inasprimento forte della pena e l'impossibilità di riottenere altri benefici".
La sua proposta non è nuova.
"Certo, il Dipartimento delle carceri aveva già studiato il braccialetto, gli ex ministri Flick e Napolitano lo avevano proposto. Ma tutto è affogato nel silenzio burocratico".
Il ministro dell'Interno ha ipotizzato il controllo di chi è agli arresti domiciliari con l'esercito.
"E' una via del tutto impraticabile. I soldati, a volerli utilizzare, servono per ben altri scopi".
E lei pensa davvero di tenere a bada quasi 35mila persone con il braccialetto? 
"Il mio è un discorso mirato. Bisogna cominciare da tutti coloro che hanno commesso reati gravi. Negli Usa il sistema si è rivelato vantaggioso anche perché costa meno il braccialetto che un detenuto in carcere".
Insisto: perché non si è ancora fatto?
"Perché, con il bello spirito italiano, si cominciò a dire che era una lesione della privacy, come se ci fosse più libertà in una cella con otto persone, piuttosto che stare in casa propria con un affare addosso che non intercetta la voce, né "vede" quello che stai facendo, ma si limita solo a controllare i tuoi spostamenti.
Oggi, in commissione giustizia, si comincia finalmente a discutere del famoso pacchetto anticrimine. Servirà?
"Alcune norme, come quelle sui maggiori poteri alla polizia, sono efficaci. Altre, come l'aver equiparato lo scippo alla rapina, mi lasciano perplesso visto che con la legislazione attuale si possono utilizzare al meglio le circostanze aggravanti e attenuanti. Semmai al magistrato viene lasciata un'eccessiva discrezionalità".
Tra le persone fermate ieri c'era anche un ex terrorista di Prima linea. C'è un legame con il ritorno delle Brigate rosse? 
"Da sempre gli ex terroristi neri si sono dati al traffico di droga e i rossi alle rapine. No, questo dettaglio non mi spaventa troppo. Alla prima occhiata direi che non ci sono collegamenti".