«Il giudice unico? Medicina sbagliata»

da Il Mattino del 27.3.99

FRANK CIMINI 
Il codice di procedura penale entrato in vigore 10 anni fa ha fallito, la riforma del giudice unico è una medicina che aggraverà la malattia. È il messaggio che arriva dall’aula 201 dell’Università statale di Milano dove intorno al tavolo della giustizia malata si ritrovano alcuni tra i più famosi e importanti docenti universitari di diritto e avvocati. Ce n'è per tutti. Andrea Antonio Dalia, dell'università di Salerno, invita le commissioni parlamentari a sospendere i lavori, almeno per una pausa di riflessione, al fine di evitare ulteriori disastri. Ennio Amodio e Oreste Dominioni accusano i giudici della corte Costituzionale di aver creato con la loro ultima sentenza un «contraddittorio truffa» un «simulacro della dialettica processuale». 
Per il professore Giuseppe De Luca, che presiede la riunione, «il pessismismo della ragione è un dovere civile». De Luca cita Benjiamin Constant per ricordare che «la libertà è sempre libertà del singolo rispetto al potere» e che «a preservare dall'arbitrio è il rispetto delle forme». «In questi anni le mie idee si sono indurite e sclerotizzate - aggiunge il presidente del seminario di studio - l'ottimismo del ”tanto poi tutto s'aggiusta” spetta ai papi». 
Per Gilberto Lozzi il nuovo codice è stato tradito «perché abbiamo indagini preliminari eccessivamente lunghe dove gli elementi raccolti dal pm acquisiscono valore probatorio. Siamo tornati a una sorta di istruzione sommaria fatta però non dal giudice ma dal rappresentante d'accusa». Secondo Lozzi «la parità tra accusa e difesa in ogni grado del procedimento è una chimera». 
Per Delfino Siracusano «purtroppo oggi la prova è la prova logica e spesso l'argomentazione logica». Andrea Antonio Dalia sostiene la necessità di «vincolare» il giudice all'acquisizione dell'elemento probatorio e di lasciarlo libero del tutto solo in sede di valutazione «perché è un uomo che decide in base ai suoi sentimenti. Ma ci vuole l'indicazione precisa della legge. La chiamata di correità non deve essere considerata di per sè un elemento di prova, il contesto probatorio è formato infatti da più elementi». 
«Era meglio prima con il vecchio rito e il vecchio codice del 1930?» si chiede Oreste Dominioni che poi precisa: «Nessuno di noi lo pensa, ma in verità sotto mentite spoglie è una ipotesi che comincia a farsi strada». Dominioni ricorda che il codice nacque in un clima dominato da tutt'altre attitudini professionali di giudici, pm e avvocati e «dal primo momento nulla si è fatto per cambiare mentalità». 
«Oggi come oggi - aggiunge Dominioni - il contraddittorio in aula è mortificante». «Non sono i giudici a dipendere dalle leggi ma sono le leggi a dipendere dai giudici» riassume Ennio Amodio citando l'intervento del professor Massimo Nobili dell'università di Bologna». 
Massimo Nobili attacca durante la riforma sul giudice unico. «Non dobbiamo dimenticarcene nemmeno in questa sede. Si tratta di una brutta legge, avventurosa, un carrozzone che contiene di tutto un po'; addirittura esemplare come assenza di linee, coerenze, disgregazioni ulteriori. Mentre si cerca di ridisegnare una centralità del dibattimento la cosiddetta legge Carotti torna a spostare il baricentro in direzione opposta, ossia verso una udienza preliminare destinata a contenere prove, prove generiche, insufficienza di prove...». 
Nobili spiega che «la magistratura è diventata il perno del tutto». E la corte Costituzionale? «I giudici della Consulta sono stati invocati dalla magistratura ad una sorta di arbitramento. E lo hanno accettato. E così hanno modificato non poco anche il proprio ruolo istituzionale per giunta adducendo principi non dettati dalla Costituzione». Nobili si riferisce al libero convincimento del giudice e alla non dispersione dei mezzi di prova. 
Ancora Nobili parla di «ingorgo istituzionale» che si riflette nell'attuale parapiglia di «leggi e leggine» prive di bussola. «Ma se la diagnosi è almeno in parte esatta circa la profondità di pluridecennali trasformazioni - conclude - allora è anche inevitabile il pessimismo sulla possibilità di ritrovare a tempi brevi un sistema, una linea, rimedi effettivi, coerenti». E si torna al «pessimismo della ragione» del saggio Giuseppe De Luca.