Sono le istituzioni o gli individui alla radice del male? Verri e Manzoni diedero due spiegazioni complementari 

da Il Sole 24 ore del 28.11.99

di Salvatore Veca
Verri e Manzoni ci danno due interpretazioni dei fatti del processo e della tortura e della condanna di innocenti nella Milano della peste e comunicano a noi eredi ragioni per giudicare fra loro differenti. Il nostro interesse per il giudizio etico e la giustificazione di azioni, condotte, pratiche e istituzioni sociali esemplifica il nostro senso di giustizia, quale che sia. Fa parte del nostro senso di giustizia il fatto di avere interesse per giudicare e giustificare azioni, condotte, pratiche e istituzioni sociali. Si considerino le circostanze dell’indignazione o del senso di oltraggio morale che sono generate dalla nostra esperienza di lettori o lettrici di queste storie di crudeltà: le vicende di un combattimento crudele e del furore potente contro l’innocenza disarmata, come scrive Manzoni tirando le fila del suo straordinario romanzo-inchiesta. Per orientarci nel giudicare del giusto e dell’equo, noi partiamo o muoviamo dall’esperienza dell’ingiusto, dell’iniquo e del male. È il fatto dell’ingiustizia che sembra essere prioritario per qualsiasi concezione di giustizia. Ma, lo sappiamo, non si dà fatto dell’ingiustizia indipendentemente dalle interpretazioni o, se si preferisce, dalle prospettive, dai punti di vista soggiacenti alle narrazioni. Ed ecco che l’incertezza investe il nostro armeggiare con i criteri del giudizio etico, sul bene e sul male per esseri umani e fra esseri umani.

Ora, vi sono almeno due modi per ridurre questa incertezza quanto al valore e al disvalore, o all’anti-valore; quando il dominio di ciò che per noi vale si fa opaco e i suoi confini sono resi labili dall’incertezza significativa (quella forse connessa allo stupore incoercibile che accompagna ogni nostra meditazione sul male), la nostra risposta costruttiva è quella di condividere con altri una geografia morale le cui mappe siano stabili e durevoli nel tempo. Per fare ciò, possiamo adottare una prospettiva oggettiva ed esterna o, alternativamente, una prospettiva soggettiva e interna.

Nel primo caso, il nostro problema sarà quello di mettere a fuoco la natura delle istituzioni e delle pratiche sociali, il loro disegno e lo spazio che quella natura e quel disegno selezionano per le nostre condotte. Nel secondo caso, lo sguardo si concentrerà sulle motivazioni, sulle scelte e sui fini delle persone, sulle loro identità e le loro ragioni interne per agire e interagire con altri. Diremo allora che il paradigma del primo caso è quello del giudizio su istituzioni, mentre il paradigma del secondo caso è quello del giudizio su individui. Come ha osservato Leonardo Sciascia, Verri guarda all’oscurità dei tempi e alle tremende istituzioni; Manzoni, alle responsabilità individuali.

Il paradigma del giudizio su istituzioni e pratiche sociali si basa, come direbbero gli economisti e gli scienziati sociali, su una prospettiva macro: se la giustizia è la prima virtù di istituzioni e pratiche sociali, noi siamo naturalmente indotti a saggiare e a sottoporre a esame il disegno delle istituzioni per gli effetti che esso ha sui nostri piani di vita e sulle nostre scelte. Il male e l’ingiustizia sociale sono effetti del funzionamento delle istituzioni cattive. Istituzioni ingiuste, che non superino il test di giustificazione etica, devono allora essere riformate o abolite.

I fatti del processo agli untori e della colonna infame sono disegnati nelle Osservazioni sulla tortura di Verri come effetti di cause: «l’ignoranza dei tempi e la barbarie della giurisprudenza». Se quegli effetti sono il male e l’ingiustizia sociale, allora il paradigma delle istituzioni ci dice che potremo aspettarci di minimizzare la sofferenza socialmente evitabile solo se avremo messo mano alla riforma delle istituzioni che la causano. La storia narrata da Verri è in questo senso preciso un argomento normativo contro la tortura come pratica penale e istituzione sociale.

Si osservi che, in questa prospettiva, il ruolo della giustizia è affine a quello della verità: come è stato detto, la giustizia è la prima virtù delle istituzioni proprio come la verità è la prima virtù delle nostre teorie. Così, noi miriamo alla giustizia nell’ambito di ciò che per noi vale, nello stesso senso in cui miriamo alla verità nell’ambito di ciò che per noi vi è. L’ingiustizia è un errore per la ragione pratica, come la falsità è un errore per la ragione pura.

I nostri teoremi sul «gran male fatto senza ragione da uomini a uomini» devono poter discendere dagli assiomi della nostra geometria morale. Questo è Illuminismo: noi dobbiamo poter avere l’ultima parola sulle istituzioni e sulle pratiche sociali, sul loro disegno e sulle loro regole, facendo leva su criteri oggettivi e impersonali del giudizio. Come scrive Manzoni: «Pietro Verri si propose, come indica il titolo medesimo del suo opuscolo, di ricavar da quel fatto un argomento contro la tortura, facendo vedere come questa avesse potuto estorcere la confessione d’un delitto, fisicamente e moralmente impossibile. E l’argomento era stringente, come nobile e umano l’assunto».

Il secondo paradigma, quello centrato sul giudizio di scelte individuali, si istituisce, per dir così, ai margini del primo, nella zona d’ombra sfuggente e non indagata dalla geometria morale, in uno spazio differente, anche se contiguo. Lo sguardo sulle ragioni interne e soggettive di persone richiede ora l’adozione di una prospettiva micro. Il punto, adesso, è che dobbiamo mettere a fuoco le motivazioni dell’agire, non le cause; gli scopi e fini individuali, non gli effetti collettivi di norme e scelte impersonali; il male ha radici intrapersonali, non più (solo) interpersonali. La vasta imperfezione non è alle nostre spalle. È in noi.

Si osservi che il secondo paradigma non nega le ragioni del primo; esso ne circoscrive piuttosto i limiti. Si osservi ancora che il secondo paradigma prende corpo non contro il primo, ma contro la pretesa di completezza che il primo può avanzare. In due parole, a proposito di istituzioni penali, tortura, crudeltà e giustizia ingiusta: il punto non è tifare per la storia di Manzoni contro la storia di Verri, o l’inverso. Ma custodire, come eredi, la tensione essenziale fra le due narrazioni, l’attrito fra le interpretazioni, l’effetto generato sui nostri criteri del giudizio dal ricorrente conflitto ermeneutico. Si potrebbe dire, in conclusione, che ogni discorso sulla giustizia che miri a giudicare le istituzioni di sfondo e le pratiche sociali entro cui abbiamo con altri vite da vivere è tanto prezioso quanto incompleto; e lo stesso vale per ogni discorso sulla giustizia che miri a giudicare le nostre condotte individuali di persone che possono scegliere ciò che è per noi male.