La certezza della pena? Anche il Parlamento deve fare la sua parte

da Il Corriere della sera del 28.9.99

Dinanzi alla richiesta di sicurezza che sale da vasti strati dell'opinione pubblica, anche in zone un tempo abbastanza al riparo dalla piaga della delinquenza diffusa, occorre che lo Stato risponda manifestando maggiore «durezza contro il crimine e le sue cause», anzitutto attraverso la professionalità delle forze di polizia. 
+ questo, nella sua elementare semplicità, uno dei principali messaggi lanciati ieri dal presidente D'Alema nel corso dell'incontro con i responsabili territoriali dell'ordine pubblico. E, sul punto, non si può ovviamente non concordare. Anche perché oggi ciascuno, davanti al moltiplicarsi di piccoli o grandi episodi di violenza, talora anche con esiti assai gravi, avverte obiettivamente l'esigenza di una più intensa protezione pubblica della propria persona e del proprio domicilio. 
Nessun dubbio, dunque, che debba esservi maggiore impegno, da parte delle forze dell'ordine, in termini di efficienza e di rigore, sul versante della criminalità, anche di rango medio basso. Nessun dubbio che quell'impegno debba essere sorretto da un robusto aumento delle risorse disponibili, e da una più adeguata organizzazione delle strutture operative (anche in tema di coordinamento tra i tre grandi corpi di polizia), del resto in linea con i più recenti progetti governativi. 
Nessun dubbio, ancora, che tale più ampio impegno debba tradursi nel costante svolgimento delle necessarie indagini di polizia successive alla notizia di reato, anche in mancanza di direttive della magistratura, secondo un preciso dovere di legge per troppo tempo senza ragione trascurato. 
Tutte cose importanti, e di sicura incidenza positiva sugli attuali livelli di tutela della sicurezza. Ma che, da sole, non possono bastare, se il discorso non si completa anche sul terreno della giustizia: «Con riguardo, cioè, alla celerità dei processi, nonché alla certezza ed alla effettività della pena». 
A questo proposito, però, occorre un minimo di coerenza. Per esempio, è inutile lamentarsi per lo stato di libertà di soggetti indiziati, imputati o anche già condannati per reati di non lieve gravità, quando negli ultimi anni il legislatore, seguendo le spinte di un malinteso (e non sempre disinteressato) intento garantistico, ha fatto di tutto per ridurre l'impiego delle misure carcerarie, e per scoraggiare i giudici dal ricorrervi. 
+ inutile lamentare che le pene fino a tre anni non vengono eseguite (a parte certi incredibili casi di indebita sospensione condizionale), quando si sono introdotti meccanismi procedurali tali da rendere assai spesso impossibile la loro esecuzione. + inutile insistere sull'ipotesi della esecuzione provvisoria di sentenze di condanna non definitive, quando si sa che tale ipotesi contrasta con la presunzione costituzionale di non colpevolezza, mentre analogo risultato potrebbe raggiungersi attraverso adeguati ritocchi alla disciplina delle misure cautelari. Come a suo tempo proposto dal ministro Flick, su queste e su diverse altre questioni molte utili modifiche si potrebbero operare nel sistema (ivi comprese quelle contenute nel «pacchetto sicurezza» presentato ad aprile dal ministro Diliberto), allo scopo di rendere più funzionale il processo e di assicurare la certezza della pena: con evidenti riflessi sul piano della difesa sociale, soprattutto in rapporto ai reati tipici della criminalità diffusa. 
Tuttavia non sembra che, almeno finora, il Parlamento abbia dimostrato sufficiente sensibilità per questi argomenti. 
di VITTORIO GREVI,