Abuso d’ufficio, «la riforma non fu un’amnistia»

da La Gazzetta del Sud del 29.12.98

ROMA – Non fu un’«amnistia, mascherata o meno», la riforma “garantista” del reato di abuso d’ufficio varata dal Parlamento nel luglio del 1997. Né tantomeno si trattò di un provvedimento adottato «in vista di una eccezionale cancellazione di reati già commessi in un determinato periodo». Fu invece una «scelta stabile» da parte del legislatore, manifestamente volta a ridefinire in senso più «restrittivo» questo crimine sofferente di «insufficiente indeterminatezza». Così la Corte Costituzionale (sentenza 447) ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale sollevate, in merito, con ordinanze dal gip del Tribunale di Bolzano e dal Tribunale di Firenze, che lamentavano nella riforma il rischio del «favoritismo e d ella prepotenza burocratica». Già nel 1990 il Parlamento aveva modificato la norma ma appunto la vaghezza nella descrizione del comportamento sanzionato aveva portato molti amministratori pubblici, timorosi di compiere involontariamente degli atti illeciti, alla cosiddetta «sindrome della firma» con la conseguente “paralisi” di molte pratiche burocratiche. Durante l’iter della riforma – che, oltre a limitare il controllo dei pubblici
ministeri, prevede pene per il pubblico ufficiale che intenzionalmente procuri vantaggio patrimoniale o danno ingiusto a sé o agli altri – molti interventi parlamentari ricordarono come il 95% dei procedimenti penali per questo reato si fossero conclusi con l’archiviazione.