QUALE MAGISTRATURA ONORARIA

di Giancarlo Russo Frattasi

Sul numero di ottobre 1998 della “Rassegna degli Avvocati Italiani”  Cesare Gatti affronta la spinosa questione della magistratura onoraria con un articolo connotato finalmente da quella razionalità  e da quella concretezza che sono spesso mancate in altri interventi sullo stesso tema. Cosicché l’occhiello redazionale all’articolo (“ancora sui giudici onorari”) sembra inadeguato, perché suggerisce un sentimento di malcelata sopportazione riferita all’argomento ritenuto logoro, anziché attirare l’attenzione sulla lodevole novità del taglio.
   Senza riportare qui il contenuto dell’articolo, ricorderò che Gatti accantona programmaticamente l’argomento –spesso fuorviante perché carico di tensioni emotive- della compatibilità tra esercizio dell’avvocatura e giurisdizione onoraria, e si occupa della magistratura onoraria tout court, per individuarne il campo di applicazione ottimale.
  Egli sottolinea il grande rilievo istituzionale della magistratura onoraria, che rispetto alla magistratura professionale non è cosa inferiore ma cosa altra; e quindi non può immaginarsi che i due istituti, diversi per natura e cultura, confluiscano in un unico organismo giurisdizionale. Di qui, sostanzialmente, il rifiuto opposto alla figura del vice pretore onorario, e quindi a quella analoga del  “giudice unico onorario” di primo grado presso il Tribunale.
   La magistratura onoraria deve, per Gatti, avere un proprio esclusivo campo di attività, non commista –e tanto meno subordinata- a quella della magistratura togata; e trova quindi la sua giusta collocazione nella figura del Giudice di Pace, autonoma e dotata di una propria competenza esclusiva e specifica. Tale competenza –trattandosi di un magistrato non professionale- dovrebbe essere individuata, secondo Gatti, non in base al valore della controversia (che potrebbe comunque costituire un criterio sussidiario), ma in base alla semplicità della materia. 
     Per la stessa ragione, il giudice onorario dovrebbe giudicare secondo equità e non secondo diritto; donde la superfluità del requisito della laurea in giurisprudenza (ricordo per inciso che questa era anche la tesi di Pietro Leonida Laforgia e –meno autorevolmente- del Presidente Cossiga, che con tale suggerimento rinviò alle Camere il disegno di legge istitutivo del giudice di pace).
    La convinzione di Gatti è quindi che sia inammissibile la coesistenza di magistrati togati ed onorari nello stesso organismo giudiziario; mentre sia perfettamente ammissibile che particolari settori del contenzioso vengano sottratti alla magistratura professionale, e decisi –quale che sia il loro contenuto economico, e preferibilmente secondo equità- da un diverso organismo costituito esclusivamente da magistrati onorari.
   In questa visione dicotomica della giurisdizione non sembra trovare una sua coerente collocazione sistematica la figura del Giudice Onorario Aggregato alle Sezioni Stralcio: Si tratta infatti di una figura inserita in un organismo giudiziario condiviso con i magistrati togati, con sostanziale parità di funzioni e di competenza rispetto a questi ultimi; il che introduce e stabilizza quel doppio regime giurisdizionale che Gatti paventa e rifiuta  e che impone al cittadino un giudice sostanzialmente diverso (per natura e per cultura, anche se non necessariamente per scienza e dottrina giuridica) a seconda che la sua causa sia iniziata prima o dopo una certa data., 
   Questo giudice atipico, che non si caratterizza per una competenza limitata a materie particolarmente semplici, e tanto meno per la natura equitativa delle sue pronunce, può essere accettato, secondo Gatti, solo in considerazione della situazione emergenziale che caratterizza la giustizia civile, ed in un’ottica quindi di assoluta provvisorietà. E tuttavia lo stesso Gatti è costretto non solo a realisticamente mettere in dubbio la possibilità che le Sezioni Stralcio completino la loro opera nei termini previsti, ma addirittura ad auspicare (e qui, mi sembra, con una certa, almeno apparente, contraddittorietà) che la competenza delle Sezioni Stralcio si estenda anche ai giudizi sorti dopo il 30 aprile 1995,  sia pure limitatamente a “determinate materie” (peraltro non indicate nemmeno exempli gratia) “cui proficuamente possono dedicarsi quotati professionisti con conseguente sollievo del carico del Tribunale”. Ipotesi, questa, che –appaia o meno condivisibile- fa comunque a pugni con la “provvisorietà” dell’istituto.
   Va comunque dato atto a Gatti ed alla “Rassegna” di aver sollecitato una riflessione collettiva dell’avvocatura su un programma di organizzazione generale del sevizio giustizia, con particolare riferimento alla collocazione che nell’ambito di esso va assegnato alla magistratura onoraria.
   Nella prospettiva offertaci da Gatti quest’ultima sarebbe destinata ad assumere un ruolo assai più importante dell’attuale, e onerata del compito di sollevare la magistratura professionale di una parte consistente dell’attuale carico di lavoro.
     Qui mi sembra che si imponga una prima riflessione supplementare, dal momento che la tendenza tradizionale (ma anche recentemente ribadita) dell’avvocatura ufficiale sembra invece orientata in senso opposto. Un recente documento dell’O.U.A. (relazione della Giunta, approvata dall’Assemblea del 12/13 settembre 1998 in Napoli – Castel Capuano) definisce la materia da assegnarsi alla magistratura onoraria come “residuale”; e se è vero che tale aggettivo non ha una valenza necessariamente limitativa, volendo solo indicare quello di cui non può occuparsi la magistratura togata (il che potrebbe anche essere molto), è innegabile che esso va letto alla luce delle costanti richieste di aumentare il numero dei magistrati togati (al Congresso di Trieste-Grado il relatore Filippo Lubrano auspicava la nomina di tremila nuovi magistrati), anche e soprattutto attraverso un reclutamento straordinario tra gli avvocati.
     Cosicché la individuazione dello spazio di giurisdizione da riservare alla magistratura onoraria non può prescindere dalla valutazione preventiva di quel che è lecito pretendere, in termini di produzione giurisdizionale caratterizzata da tempi di attesa accettabili, dalla magistratura togata; il che a sua volta rinvia al connesso problema, di individuare cioè quale debba essere, nell’Italia di oggi, la dimensione ottimale del corpo giudiziario professionale.
       Voglio dire che se si accetti, per convinzione o per realismo, come dato immodificabile la consistenza e la (solo parziale) copertura attuali dei ruoli della magistratura, potrà senza altra indagine procedersi a valutare la massa di contenzioso che questa magistratura può ragionevolmente evadere in tempi accettabili, e quella che, per differenza, dovrebbe essere affidata alla magistratura onoraria. Se invece si ritenga che, prima di ricorrere a quest’ultima, si debba fare tutto il possibile per incrementare la magistratura professionale e sfruttarne al massimo la capacità di lavoro, il percorso sarà evidentemente diverso (e più lungo, e più difficile), e la conseguente strategia dovrà tener conto dei due tradizionali ostacoli che si oppongono all’aumento del numero dei magistrati togati (stanziamenti di bilancio e criteri iperselettivi del concorso di accesso).
     E’ dunque su questa prima alternativa che l’avvocatura-soggetto politico deve unitariamente operare una scelta, prima di dedicarsi a definire la quantità e qualità del contenzioso da affidare alla magistratura onoraria.
     Compito, quest’ultimo, tuttaltro che scevro da ulteriori problemi. Quali siano quelle materie particolarmente “semplici” che secondo l’analisi di Gatti andrebbero affidate ai giudici onorari (ed a giudici privi di preparazione tecnico-giuridica, essendo gli avvocati scoraggiati dal divieto di contemporaneo esercizio della professione) non so immaginare, a parte l’incidentistica stradale, del resto non sempre semplicissima nemmeno essa.
     La scappatoia del giudizio di equità mi sembra poi difficilmente praticabile, perché nel nostro sistema l’equità (che non può essere “contra legem”) non si configura come alternativa rispetto alla valutazione tecnico-giuridica, ma come integrativa e/o modificativa di questa. Se poi potesse immaginarsi un giudizio totalmente equitativo, non saprei quale spazio e quale funzione potrebbe trovarvi la difesa tecnica, i cui costi viceversa avrebbero l’effetto negativo di rendere piò difficile il raggiungimento della soluzione concordata della lite.
     In conclusione: tra la tesi di Gatti, che vede la magistratura onoraria investita di compiti sempre più rilevanti; e quella dall’O.U.A., che la vorrebbe relegata a compiti sempre più marginali (se non addirittura eliminata del tutto) v’è un contrasto di fondo che denuncia di per sé stesso non solo la inesistenza di un progetto politico unitario dell’Avvocatura, ma addirittura lo stadio appena iniziale di una riflessione della categoria sul tema, e forse la non ancora raggiunta consapevolezza della centralità di esso nel panorama dei problemi della giustizia italiana.
     Ci si è invece occupati con enfasi eccessiva del problema della compatibilità tra esercizio dell’avvocatura e magistatura onoraria, prima ancora di sapere di quale magistratura onoraria, caratterizzata da quali dimensioni e da quali compiti, si stesse parlando.
     E’ dunque ora che l’avvocatura imposti correttamente la riflessione sul tema, il cui punto di partenza si risolve nell’accertare quanti giudici togati possa consentirsi oggi di stipendiare lo Stato italiano; con il conseguente corollario: come coprire rapidamente l’organico così individuato.
   Il secondo passaggio logico è costituito dalla risposta al quesito: può tale organico evadere tutto il contenzioso in un tempo accettabile? E se non, quali settori del contenzioso possono e devono essere sottratti alla magistratura togata per essere affidati a quella onoraria? 
     Solo il terzo tempo della riflessione potrà dunque incentrarsi  sulla struttura della magistratura onoraria e sulla qualificazione che dovrà richiedersi ai suoi componenti; problemi entrambi strettamente connessi e dipendenti dalla entità e dalla natura dei compiti che essa dovrà svolgere.
     Per il momento, appare dunque opportuno accantonare ogni prematura e fuorviante discussione su un problema i cui termini sono del tutto fluidi ed imprecisabili, e tali rimarranno fino a che non sarà stata data risposta ai quesiti che ne rappresentano l’antecedente logico.