INTERNET E DEONTOLOGIA

Il difficile equilibrio tra il divieto di pubblicità e la presenza degli studi legali sulla Rete

di Giuliano Presti

Sempre più rilevante il numero degli avvocati che risultano avere su Internet un proprio sito, o che ottengono "ospitalità" per proprie pagine sui siti esistenti. Tanto che si rende necessaria una riflessione sulla liceità di tali presenze e sulle norme deontologiche applicabili.

E’ vero che il problema della liceità , messo così, può apparire mal posto. L’apertura di un sito web, in sé, è certamente atto lecito, trattandosi di nient’altro che di una modalità di trasmissione di dati. In pratica, sarebbe come porsi il dubbio se l’avvocato possa lecitamente usare o meno il telefono. Il punto sulla liceità dei siti web riguarda più propriamente il contenuto possibile del sito, e cioè quali dati possano esservi lecitamente inseriti.

E’ però altrettanto vero che la Rete ha caratteristiche del tutto peculiari rispetto agli altri media, sia sotto il profilo della facilità della connessione e della disponibilità delle informazioni in qualsiasi parte del globo terrestre, sia sotto il profilo della sostanziale difficoltà di controlli e della frequente impossibilità di efficace applicazione della normativa esistente. Il che rende ancor più necessaria una interpretazione rigorosa delle norme deontologiche e ancor più indispensabile l’elaborazione di principi-guida per gli avvocati. E’ di intuitiva evidenza che una cosa è la circolazione, assai limitata nel tempo e nello spazio, di un foglio di carta intestata, ed altra è l’inserimento delle medesime informazioni su un sito Internet, senza alcun limite spaziale e temporale.

La liceità o meno della diffusione dei dati ha ovviamente a che fare con il divieto di pubblicità. E’ noto che nel nostro sistema deontologico (e più in generale nel sistema degli ordinamenti professionali di diritto latino) agli avvocati è vietato far ricorso alla pubblicità. Non esiste nessuna norma di legge che lo dica espressamente: ma gli ordini, nell’esercizio delle loro funzioni disciplinari, hanno sempre ritenuto che il ricorso alla pubblicità - quale forma mercantile di autopromozione - contrasti con l’obbligo di esercitare la professione con dignità e decoro posto dall’art. 12 del R.D.L. 1578/33.

E’ ugualmente noto che questa impostazione tradizionale è stata posta seriamente in discussione da più parti. Basti ricordare per tutti il convegno "Le libere professioni e la pubblicità" del 1993 (gli atti sono pubblicati da Franco Angeli) e soprattutto la indagine conoscitiva dell’Antitrust, che ha espressamente denunciato come non più sostenibile il divieto di pubblicità, e anzi ha espressamente affermato che la pubblicità è utile e doveroso mezzo di conoscenza per gli utenti di servizi legali.

Le mutate condizioni economico-sociali hanno infatti ridotto in maniera assai significativa l’efficacia dell’antico processo di scelta dell’avvocato da parte del cliente potenziale, basato sulla reputazione in ambito locale o su consigli e segnalazioni di terzi. Il numero degli avvocati e dei servizi da loro offerti, l’esistenza di complesse specializzazioni, la mutata dimensione degli studi, rende assai più difficile riconoscere la competenza del professionista. Tuttavia rendere note le abilità specifiche dei professionisti, in una società che progredisce solo utilizzando la conoscenza specializzata da questi messa a disposizione, può certamente costituire un beneficio sociale.

Il Consiglio Nazionale Forense si è fatto carico, in modo problematico, del dibattito. Tanto è vero che il codice deontologico - approvato nel 1997 - contiene in materia di pubblicità una apertura innovativa, rispetto agli orientamenti più restrittivi del passato; giacché esso per la prima volta afferma a chiare lettere la liceità della pubblicità informativa a clienti e colleghi. Dice, in particolare, all’art. 17 comma 2 il codice deontologico che "è consentita l’informazione agli assistiti e ai colleghi sulla organizzazione dell’ufficio e sulla attività professionale svolta".

La materia è tuttavia ancora in ebollizione: tanto è vero che nella recente assemblea organizzata a Bergamo dal C.N.F. (19-20 marzo 1999) uno dei punti all’ordine del giorno del dibattito è stato proprio quello della possibilità di progettare aperture alla pubblicità ulteriori rispetto alla semplice pubblicità-informazione. Non vi sono stati a Bergamo, e non vi sono punti fermi sull’argomento. E’ tuttavia certo che il dibattito ha già superato il punto raggiunto dal codice deontologico, se è vero che lo stesso progetto Flick - all’articolo 8 - introduce un articolo denominato "informazione sull’esercizio professionale", che non limita più la informazione "agli assistiti e ai colleghi", ma la consente in via generale, ponendo dunque la liceità di rivolgersi ai clienti potenziali.

Va poi ricordato che il codice deontologico europeo stabilisce che "l’avvocato ha l’obbligo di non fare e non farsi fare pubblicità personale se non nella misura in cui le regole dell’ordine forense cui appartiene glieli permettano". Dunque, in buona sostanza l’avvocato che può fare pubblicità nel proprio stato continuerà ad esercitare tale facoltà nel proprio paese, ma non potrà farlo in Italia, se non nei limiti strettissimi in cui è consentita. Mentre l’avvocato italiano non potrà fare pubblicità in nessun paese europeo, vietandoglielo le norme dell’ordine forense di appartenenza.

Torniamo ora al nostro argomento, cioè a Internet e ai siti web. In proposito, nulla dice il codice deontologico del C.N.F.; e non constano decisioni dei consigli circondariali, che sono - come è noto - la fonte primaria della deontologia. Esiste però, in materia, il parere n.74/97 del CNF , con il quale la Commissione Pareri ha ritenuto che " l’apertura di un sito Internet non possa essere utilizzata come mezzo di pubblicità di uno studio legale al fine di rendere prestazioni che, per definizione, si basano sull’intuitus personae. Al contrario, si ritiene che su Internet possa figurare il nome del professionista e l’indirizzo dello studio, ma solamente come mera domiciliazione." Si tratta di una prima indicazione rispetto ad un mezzo in crescente sviluppo, tanto che lo stesso CNF precisa che il parere viene espresso in attesa di meglio valutare l’evoluzione della materia che appare tanto delicata e nella quale la tecnica sembra talora superare il diritto.

Della stessa epoca il parere del Consiglio dell’Ordine di Milano che ha ritenuto sia consentito ai Colleghi l’inserimento su Internet del nome del proprio Studio (con l’indicazione degli eventuali membri dello stesso, degli studi seguiti, delle eventuali cariche universitarie, delle pubblicazioni effettuate, e delle collaborazioni a riviste specializzate). Specificando però che gli avvocati dovranno astenersi dall’elencare (anche in presenza di loro eventuale accordo preventivo) i nomi dei propri clienti; quanto alla indicazione di eventuali competenze specifiche, i Colleghi dovranno limitarsi ad indicare i rami di operatività professionale, con riferimento alle principali branche del diritto, quali consacrate dalla prassi e dalle discipline universitarie, astenendosi da ogni elencazione diffusa, che avrebbe una funzione reclamizzante, come tale non compatibile col decoro e con la dignità proprie della nostra professione; che non è assolutamente consentito promettere consultazioni o pareri gratuiti.

In realtà i due anni trascorsi dalla emanazione di questi due pareri hanno reso la categoria più consapevole sia della diffusione e delle caratteristiche del mezzo tecnico, che dei rischi connessi.

Non a caso il Conseil National des Barreaux de France (l’equivalente in Francia del nostro C.N.F.) che ha emanato in data recente (26-27 marzo 1999) - in forza di delega legislativa - con decisione 1/99 un regolamento (règlement intérieur harmonisé - RIH) da adottare obbligatoriamente da tutti i Consigli, e che contiene la armonizzazione delle regole deontologiche vigenti in Francia, parla, all’art. 10.11, anche di Internet, prevedendo che "questo tipo di pubblicità" debba essere assoggettato alle regole generali per la pubblicità; che chi vuole aprile un sito Internet deve darne notizia all’Ordine di appartenenza; che infine nei siti Internet possono essere contenuti in via generale quei dati che possono figurare nelle "plaquettes" a stampa, alla cui disposizione l’articolo rimanda. Relativamente a queste ultime, l’art. 10.8 prevede testualmente quanto segue:

L’avvocato può pubblicare una plaquette di presentazione generale del suo studio.

Qualsiasi plaquette deve essere comunicata all’Ordine prima di essere diffusa.

Essa contiene tutte le informazioni che devono obbligatoriamente essere riportate sulla carta da lettere.

Essa può inoltre contenere tutte quelle informazioni che possono facoltativamente essere riportate sulla carta da lettere così come tutte le informazioni utili alla conoscenza dell’attività dello studio.

In particolare, vi si può fare menzione di:
 

periodo di esperienza nella professione di ogni avvocato membro dello studio
 

organizzazione e le strutture interne dello studio
 

le materie trattate dallo studio
 

le lingue straniere conosciute
 

il modo di fissazione degli onorari
 

a condizione del loro preventivo accordo, il nome dei professionisti non avvocati che collaborano in modo regolare e significativo con lo studio
 

la partecipazione degli avvocati ad attività didattiche
 

la lista degli uffici o studi secondari e quella dei corrispondenti esteri, a condizione per questi ultimi che esista con ciascuno di loro una convenzione depositata presso l’Ordine.

La plaquette informativa non può invece fare riferimento:
 

ai nomi dei clienti; in via di eccezione, una plaquette che indichi i nomi dei clienti dello studio che lo hanno consentito può essere diffusa all’estero, nei paesi nei quali una tale diffusione sia consentita;
 

ad attività senza legame con l’esercizio professionale.

La plaquette è stampata e diffusa ad esclusiva responsabilità del suo o dei suoi autori nominativamente indicati.

Questa diffusione è autorizzata presso la generalità del pubblico. La diffusione potrà essere effettuata solo a partire dallo studio, con esclusione della possibilità di deposito dei documenti in luoghi pubblici o di consegna a terzi in vista della loro diffusione, con eccezione in questo caso dei sistemi di diffusione proposti dai servizi postali.

In Italia, non usa diffondere plaquettes di studi legali: le quali anzi, alla luce della deontologia tradizionale, sarebbero proibite. Dopo l’apertura alla pubblicità-informazione, esse dovrebbero invece ritenersi certamente lecite, se il loro contenuto si limiti alla semplice informazione, nei termini anche abbastanza ampi, ma sostanzialmente condivisibili, posti dal Conseil National des Barreaux.

Il richiamo alla plaquette, come paradigma per valutare il limite dell’uso pubblicitario di Internet, è assai pertinente, per lo meno in fase iniziale, perchè la esperienza italiana mostra che la maggior parte delle pagine web elaborate dai primi avvocati che le hanno adottate sono, in realtà, nulla di più che plaquettes telematiche.

Una rapida analisi delle pagine web effettivamente allestite dagli avvocati italiani - in numero che va rapidamente crescendo - mostra che effettivamente esse hanno in gran parte contenuti assai limitati. In genere, c’è un breve profilo dell’avvocato, o degli avvocati, titolari dello studio; il loro curriculum, di studi e di specializzazioni, a volte corredato da fotografie; la descrizione delle strutture operative dello studio, e di suoi collegamenti; e spesso in chiusura un elenco di links ritenuti di utilità. In tutto ciò, pare non vi sia possibilità di obiezioni deontologiche: per la ragione, appunto, che siamo dichiaratamente nel campo della pubblicità informativa. Anche la diffusione di immagini fotografiche, in una civiltà dell’immagine quale è la nostra (nella quale cioè è abituale che la espressione scritta sia accompagnata dall’immagine) non sembra assolutamente censurabile in sè (cfr. decisione 27 settembre 1997 del Consiglio dell’Ordine di Bologna, in Bologna forense).

Però su Internet troviamo anche siti che qualche dubbio certamente lo pongono. Sospetti di illiceità desta la qualificazione di un avvocato come " Legale del Banco di Napoli" (http://www.starnet.it/aiello/), ancor di più la elencazione, da parte di un altro avvocato "di diverse importanti società" di cui è attualmente consulente (http://www.cpoint.infoservizi.it/meli.htm).

Così come non sfugge a censure il sito di quello studio legale che "annovera fra i propri Clienti importanti e note società italiane ed estere, che operano nei più diversi settori merceologici. Per ragioni di deontologia professionale l’elenco delle Aziende Clienti che hanno scelto lo Studio **** nell’ambito della proprietà industriale, intellettuale e della concorrenza è strettamente riservato e non viene reso noto". (http://www.feltrilex.com/it/clienti.htm). Toni tipici da pubblicità commerciale quelli del sito che assicura che "un costante aggiornamento consente allo studio legale associato di offrire un servizio di assistenza completo. Le esperienze stragiudiziali e giudiziali maturate in ogni grado di giudizio e in tutte le branche del diritto civile, compreso il diritto della navigazione, danno al clientela certezza di essere tutelato e rappresentato con cognizione di causa. (http://www.napoli.com/studiovillari/) o di quello che "collabora a stretto contatto con uno dei più importanti studi notarili della capitale, offrendo una specifica consulenza in materia immobiliare, evitando in questo modo spiacevoli sorprese in ordine ad incauti o sospetti acquisti. Chiunque volesse prendere contatto con il nostro studio, può farlo tramite e-mail ed in pochissimo tempo riceverà la soluzione ed il consiglio che cercava." (http://www.alea.it/studio.brugnoli/index.html). Cosa dire di un studio legale la cui "targhetta", con il cognome del titolare dello studio e la dizione "studio legale", si trova in una pagina dal titolo "business place" fra una ventina di altre etichette, fra cui quella di una ditta di Import-Export Patate, quella di un’industria ceraria e un’impresa di impianti elettrici idraulici? (http://www.fastcom.it/fiera.html). O di quello di un avvocato che sotto la voce attività professionale elenca fra l’altro di essere Assessore all’Urbanistica di un importante Comune dal 1996 (http://web.tin.it/smp/andrea.htm); ed altro, nello stesso studio, che cita di essere stato nominato Giudice Onorario con qualifica di Vice Pretore? (http://web.tin.it/smp/lino.htm).

Il fatto è che un sito web che funzioni come una sorta di dépliant telematico è di modesto interesse e, diciamolo francamente, serve a ben poco. Difatti, con la diffusione del mezzo, si vanno ampliando le possibilità e le modalità di utilizzazione dei siti web degli avvocati. Ed in questo dilatarsi spesso si esce, come era fatale che avvenisse, dai limiti della pubblicità informazione. Vediamo qualche esempio.

Il sito web può essere utilizzato come luogo per diffusione di lettere o bollettini informativi, ad esempio sulle novità legislative, o su fatti rilevanti nelle particolari materie di cui si occupa lo studio. In sè, il fatto di diffondere presso i propri clienti scritti anche non richiesti, e inviati gratuitamente, non costituisce un illecito. I commercialisti, che sono subissati più ancora di noi da alluvioni normative, lo fanno abitualmente; ma spesso si sono visti, senza obiezioni deontologiche, avvocati redigere ed inviare ai propri clienti aggiornamenti di giurisprudenze di interesse, o anche solo traduzioni in lingua italiana di provvedimenti normativi scarsamente comprensibili. In tutto ciò, è certamente presente un profilo autopromozionale: che su internet si allarga, giacché si estende potenzialmente a tutti gli utenti della rete.

L’art.18 del codice deontologico approvato dal CNF nel 1997 afferma che "costituisce violazione della regola deontologica perseguire fini pubblicitari anche contributi indiretti ad articoli di stampa; enfatizzare le proprie prestazioni o i propri successi; spendere il nome dei clienti; offrire servizi professionali; intrattenere rapporti con gli organi di informazione e di stampa al solo fine di pubblicità professionale".

Questa normativa trova applicazione anche con riguardo a pubblicazioni su Internet?

In particolare, devono applicarsi ai siti Internet degli avvocati solo le norme generali previste dall’art.17 del codice deontologico, o, attesa la indiscutibile natura di Internet di mezzo di diffusione di notizie ed informazioni , vanno osservati anche i precetti dettati in materia di rapporti dell’avvocato "con la stampa e con gli altri mezzi di diffusione"?

La risposta alla seconda domanda sembra dover essere positiva. Del resto, v’è da dire che colpisce la assoluta assenza di pronunce che stigmatizzino i comportamenti sanzionati dall’art.18 di fronte alla valanga, sui giornali, alla radio e in televisione, di interviste ed interventi di vario genere di avvocati esperti di questa o quella materia, o di difensori di particolari persone, con la indicazione dei clienti più famosi o dei successi professionali ottenuti.

E non può neanche sottacersi che un autorevole avvocato che da sempre si occupa di deontologia come Remo Danovi ha asserito che "é certo che gli organi di stampa non si occupano di categorie professionali non qualificate o non incidenti sui problemi della società; ed è certo anche che il ruolo o la funzione dell’avvocato, nel loro complesso, non sono mortificati dall’attenzione che la stampa dedica loro (tanto che si è detto lapidariamente, se si creasse intorno agli avvocati il silenzio stampa, in nessun modo gli stessi potrebbero emergere). Né il grande professionista, come l’eroe culturale e forense di altro livello di cui si parla negli scritti di altri tempi, ha mai offuscato l’immagine della classe forense, ma anzi ne ha affermato il prestigio: così come il solista non offende l’immagine del coro, ma ne determina il successo.Ebbene, se tutto ciò è vero, la pubblicità indiretta che viene data ad avvocati che dirigono banche, che negoziano affari di proporzioni rilevanti, che scrivono libri, che dibattono tesi, che discutono o vincono (o perdono) processi, non offende in alcun modo la classe forense, né la dignità o il decoro della stessa. Né si tratta di coltivare l’illusione della notorietà della persona. La rilevanza degli organi di informazione oggi è tale, particolarmente nell’ambito della giustizia e dei processi, che l’avvocato non può non tenerne conto, al punto che è stato scritto che "i media fanno parte integrante del lavoro forense e la professionalità legale si misura anche in questi termini: il servizio che l’avvocato rende l’inquisito si compone anche della consapevolezza dell’immagine fornita dai media al caso". Né infine va dimenticato che una informazione dei servizi legali (una informazione disciplinata nei suoi contenuti essenziali, non certo una commercializzazione di prodotti mercantili) offre al pubblico possibilità operative volte a realizzare una maggiore tutela dei diritti e non certo la compressione degli stessi"(nota a margine alla decisione 21 marzo 1989, n. 45 del Giurì del codice di autodisciplina pubblicitaria).

Vi è da ritenere, pertanto, che, accanto alla difficoltà di provare un "intento pubblicitario", che andrebbe forse presunto nella maggior parte dei casi, vi sia una ampia forma di tolleranza rispetto alla diffusione di scritti provenienti da avvocati o che di questi parlino, in linea con la impostazione del progetto di riforma Flick, che estende la possibilità della informazione anche al di là di clienti e colleghi.

Pari tolleranza dovrebbe valere rispetto alla diffusione tramite Internet di tali scritti.

Lo stesso si deve dire, per le medesime ragioni, per l’inserimento nel sito di articoli di approfondimento di materie giuridiche varie; per la creazione di banche dati, rassegne stampa su particolari materie. In proposito, è però da dire che l’inserimento dovrebbe essere limitato ad argomenti relativi alla professione o comunque al mondo del diritto, con esclusione di argomenti estranei, che avrebbero significato di pura promozione di immagine.

Non pare invece sia possibile l’inserimento del cosiddetto livre d’or, cioè di uno spazio aperto ai messaggi dei visitatori, destinato ad accogliere apprezzamenti, elogi o suggerimenti relativi all’operato dell’avvocato. Uno dei criteri cardine che dovrà sempre permanere, è quello della riservatezza e della discrezione, che in ogni caso vieta al professionista di pubblicizzare chi sono i suoi clienti, e di quali questioni si è occupato. Peraltro, per il citato art.18, enfatizzare le proprie prestazioni o spendere il nome dei clienti costituisce comportamento contrario alla deontologia, a prescindere dal fine pubblicitario.

Infine, il profilo più importante, e foriero di maggiore sviluppo, è quello dato dalla possibilità di consultazione on line dell’avvocato. In pratica avviene che nel sito sia inserito un modulo di "richiesta di preventivo e quesito", nel quale l’utente può formulare all’avvocato, senza impegno, il quesito che gli interessa. L’avvocato risponde, a mezzo posta elettronica, precisando il costo della consulenza richiesta (in genere aggiungendo, a scanso di noie con il consiglio dell’ordine, che esso è determinato secondo le tariffe forensi in vigore), e cioè sottoponendo all’aspirante cliente un preventivo. Se al preventivo segue l’accettazione, l’avvocato si mette a lavorare. Occorre naturalmente verificare che la consulenza on line non scada nella offerta indiscriminata di servizi al pubblico, o peggio di accaparramento di clientela, nel qual caso dovrebbe considerarsi un’attività vietata. Lecita, invece, laddove costituisca una modalità di esecuzione della attività legale, che si avvale del mezzo telematico. Censurabile sarebbe ovviamente il caso in cui, tramite la consulenza on line, si arrivasse ad offrire indiscriminatamente al pubblico degli utenti prestazioni legali a prezzi forfettari predeterminati (esempi: divorzi a quattrocentomila lire, sfratti per altrettanto più le spese vive; e via dicendo): ciò che integrerebbe certamente una violazione deontologica. Ma anche in questo caso non sarebbe l’uso di internet in sé ad integrare la violazione, ma la modalità dell’uso stesso.

E se la consulenza on line fosse gratuita? Abbiamo visto che Il Consiglio dell’Ordine di Milano esclude categoricamente la possibilità di consultazioni o pareri gratuiti. Eppure il fatto di prestare la propria opera gratuitamente - a favore dei non abbienti - lungi dall’essere proibito, è per gli avvocati un obbligo, come è ricordato in altra parte di questa stessa rivista. Dunque, offrire dei servizi gratuiti ai poveri si può fare, anzi lo si dovrebbe fare assai di più di quanto non avvenga attualmente. Ma gli utenti on line non sono selezionabili in ricchi e poveri: e dunque non è delle disposizioni sul gratuito patrocinio che ci possiamo avvalere per valutare la liceità della consulenza gratuita. Ci dobbiamo ancora una volta rifare ai principi generali: e vedere se il fatto possa così configurarsi come una autopromozione mercantile, o come accaparramento di clientela. Ma basta ricordare che, su quasi tutti i quotidiani locali, ci sono da sempre rubriche intitolate "l’avvocato risponde" o "il parere dell’avvocato" o "gli esperti rispondono", che propinano pareri in pillole su questioni locatizie, condominiali, familiari, previdenziali e simili. Non consta che nessuna di queste rubriche, che pure realizzano una forma pubblicitaria indiretta per l’avvocato che si presta gratuitamente a formulare le risposte, abbia dato luogo a procedimenti disciplinari. Perché dovremmo pensarla diversamente solo perché siamo nel mondo della rete?

Vi è però da chiedersi, dal momento che in caso di consultazione in linea tutte le comunicazioni avvengono tramite posta elettronica, se l’avvocato possa in tal modo violare il dovere di discrezione e riservatezza o il segreto professionale cui è assolutamente tenuto. E’ noto infatti che il contenuto dei messaggi spediti per posta elettronica può venire a conoscenza di molteplici soggetti, ad esempio i provider di chi manda e riceve i messaggi. Per cui sarebbe probabilmente più prudente per gli avvocati utilizzare la criptografia, che consente di assicurare la segretezza dei messaggi e di identificarne con certezza l’autore.

Le norme deontologiche, ovviamente, vanno osservate anche su Internet, così come in qualsiasi campo dell’esercizio della professione. Internet è un medium che continuerà a svilupparsi e divenire indispensabile nella vita di tutti i giorni, proprio come il telefono o i giornali stampati. Dunque non ha senso per l’avvocato evitare l’utilizzo di tale mezzo, che va però usato con rispetto dei principi etici della professione e con un costante controllo delle regole nel loro continuo sviluppo.

Basta inserire in uno qualunque dei motori di ricerca la frase "studio legale" per rendersi conto di quante violazioni sono già oggi in atto, sostanzialmente impunite , eppure ben più gravi e rilevanti della inserzione in grassetto del proprio nome sull’elenco telefonico, considerata una illecita forma di pubblicità (CNF 23.9.82) .

Qualche formula strappa persino un sorriso: l’invenzione del "Patrocinante soprattutto in Cassazione, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e Commissioni Tributarie, nonché Socio Effettivo del Rotary Club Milano-Est.( http://www.studiosardi.it/index.htm), o i dati personali di quel collega che, oltre ad elencare titoli e pubblicazioni, ci informa di essere coniugato dal 1986 con un magistrato. Obblighi militari assolti dopo la laurea. (http://www.srd.it/fogliani/FOG-DAT.HTM).O infine, il sito che "intende offrire una opportunità di dialogo nella sfera giuridica dando informazioni che, cogliendo le più svariate suggestioni, possono fornire all’utente risposte telematiche che abbiano rilevanza giuridica generale". (http://www.sugamele.it/servizi.htm).

Se sino ad oggi le forme di pubblicità non consentita hanno avuto una diffusione più o meno locale, con Internet si supera ogni confine fisico, con un temibile risultato di moltiplicazione degli effetti. Occorre pertanto , da un lato il ripensamento dei principi deontologici relativi alla pubblicità in funzione dei cambiamenti economico-sociali e tecnologici, dall’altro una maggiore vigilanza da parte degli organi preposti all’esercizio del potere disciplinare, accompagnata da una preventiva comprensione della natura, della portata e delle particolarità del fenomeno Internet.