COME SI TRASFORMA LA PROFESSIONE:

L'ASCIA DEL NONNO

Di Bruno Di Pietro

Gli occhiali del passato
Ho sentito dire recentemente da Salvatore Veca, in una splendida lezione tenuta a Napoli, che "gli uomini sono soliti leggere i cambiamenti con gli occhiali del passato".
Le trasformazioni - più o meno grandi - vengono lette ed analizzate con strumenti teorici che si adattano agli uomini, alle cose, agli eventi, prima che essi si siano trasformati.
E' quello che accade oggi - mi sembra - all'Avvocatura italiana, che - pur avendo prodotto negli ultimi anni un grande sforzo verso la costruzione di una propria "soggettività politica" - parla di sé, dei problemi legati alla formazione ed al ruolo esercitato, dei suoi interessi  economici, degli aspetti formativi, senza una soddisfacente lettura ed analisi - nello stesso tempo storica e teorica - delle trasformazioni sociali, culturali ed economiche che l'hanno attraversata. Il che, spesso, produce un dibattito circolare e ripetitivo che dà per scontate ed esistenti cose che scontate ed esistenti non sono più. Si pensi solo al dibattito sulla formazione, nel quale sono assenti analisi approfondite sul ruolo dello sviluppo telematico della civiltà delle macchine negli stessi processi formativi.
Proprio sui processi formativi, sulle modalità dell'apprendere in funzione delle trasformazioni del modo di lavorare, il presente scritto intende intervenire.

L'ascia del nonno
Le affermazioni e le analisi correnti sembrano quasi riprodurre il paradigma dell'ascia del nonno.
Immaginate che in una casa ci sia una stanza, ed in questa stanza un punto identitario, uno di quei feticci che non mancano in nessuna casa: un quadretto, una fotografia. Nel nostro caso avremo l'ascia del nonno. Immaginate, ancora, che con grande soddisfazione un membro della famiglia che vive in quella casa mostri ad un ospite l'ascia del nonno esclamando: "guarda che meraviglia, l'ascia del nonno! E' una cosa ereditata cui teniamo moltissimo. Papà le ha cambiato il manico, ed io le ho cambiato la lama che non andava più". Se provate a sostituire l'ascia del nonno con l'Avvocatura italiana vi accorgerete che, nei nostri dibattiti sta accadendo - all'oggetto del discutere - qualcosa di simile a quanto è accaduto all'ascia del nonno. L'Avvocatura, con la sua cultura, la sua composizione sociale ed economica, il suo modo di lavorare, il suo modo di associarsi, va quindi fatta oggetto di analisi storica e teorica. Senza cedere alla accademia ma provando ad applicare questo metodo ai problemi che oggi affrontiamo, e con la consapevolezza che occorre acquisire nuovi e più ampi orizzonti di analisi se, appunto, non si vogliono usare gli occhiali del passato.
Proviamo a cominciare.

Le trasformazioni del modo di lavorare
Credo occorra, innanzitutto, partire dalle epocali trasformazioni quanto al modo di lavorare. Nella attuale fase storica, nella industria occidentale si produce sempre più ricchezza con sempre minore impiego di lavoro; quella che è in atto è una rivoluzione di quel lavoro classico che occupava tempi fissi, che impegnava gli individui per un'intera vita e, nello stesso tempo, li strutturava ed integrava nella società. C'è, in sostanza, sempre meno spazio per il lavoro dipendente. Non è questo un concetto nuovo, avendone fatto Jeremy Rifkin oggetto di approfondita analisi (Cfr.La fine del lavoro, Baldini e Castoldi). Ma il punto essenziale è la velocità dei processi in atto. Se ne era accorto, già negli anni '30, John Maynard Keynes, quando diceva che "l'aumento della efficienza tecnologica si è realizzato più rapidamente della nostra capacità di risolvere il problema dell'assorbimento della manodopera".
L'osservazione è di grande rilievo teorico, ed oso così aggiornarla: il tempo di sviluppo delle forme di lavoro libero conseguenti all'evolversi della civiltà delle macchine si è manifestato in modo molto più veloce del tempo necessario a trovare una collocazione a chi veniva progressivamente espulso dalle forme di lavoro dipendente.
E' vero che vent'anni fa non esistevano gli esperti di finanza derivata, gli istruttori di aerobica, i programmatori di software, e che fino a cinque anni fa non esistevano i webmasters, ma è anche vero che, quantitativamente, le nuove attività di lavoro dipendente non hanno assorbito, non hanno avuto il tempo di assorbire, le quote di lavoro dipendente nel frattempo dismesse.
Questa osservazione è importante per noi, che esercitiamo una classica libera professione cosiddetta "protetta" almeno  sotto due profili.
1) Perché è nella indicata discrasia temporale che si radica l'interesse oggettivo del capitale (essenzialmente industriale) a dislocare forza-lavoro nel settore delle professioni (nelle forme allo stesso più congeniali e note, e cioè la società di capitali e con il vincolo della subordinazione); interesse che talora si manifesta comune con le stesse forze rappresentative del lavoro dipendente.
2) Perché si manifesta come ineludibile il processo di occupazione - da parte di vari soggetti liberati dal mercato del lavoro - di tutte quelle aree della attività legale che chiamerò border-line e cioè tutte quelle attività in cui non è necessario il titolo per fornire la prestazione (la mediazione, la consulenza, il parere, il consiglio).
Peraltro, occorre tenere presente che i soggetti che vengono ad occupare tendenzialmente tali attività border-line sono mediamente qualificati. Infine, occorre considerare chele dinamiche di "dimagrimento" della macchina dello Stato sociale spingeranno verso queste attività (oggi attraverso il part time, ma domani, possibilmente, a tempo pieno) ampie fasce di burocrazia, a volte anche altamente qualificate.
Sto provando a dire che, quando parliamo di ordinamento professionale, è del tutto pleonastico cercare di riservare queste attività laddove esse non sono oggettivamente riservabili. Piuttosto, occorre - oltre al nocciolo del giudiziario - estendere le ragioni dello stesso a tutti quei  procedimenti in cui un terzo decida una controversia. Ma al di là di tale questione, che è già parte del dibattito all'interno dell'Avvocatura, intendo sostenere che l'Avvocatura può dare una risposta propria alla occupazione delle attività border-line, che non sia quella perdente della riserva, attraverso un salto di professionalità conseguente ad una nuova considerazione degli aspetti formativi che sia all'altezza dei processi di trasformazione dei modi di acquisire la conoscenza.

Le trasformazioni dei modi di acquisire la conoscenza
La nuova centralità del lavoro indipendente è il risultato del compimento della civiltà delle macchine inveratosi nella rivoluzione delle comunicazioni. E ciò, sia perché - come detto- diminuisce il tempo necessario alla produzione della ricchezza nel modo classico, sia perché - parallelamente - aumenta il tempo "libero" che si risolve in una aspirazione ad un crescente miglioramento della qualità del tempo dedicato al lavoro, alla formazione, allo svago.
L'aspetto essenziale della società che si va configurando è proprio relativo alle modalità di accesso alla conoscenza.
Credo sia stato Edgar Morin a parlare di "società cognitiva" con ciò volendo intendere una società dove tutti possono conoscere tutto. La fase che viviamo è chiaramente di transizione, essendo in atto processi di alfabetizzazione rispetto al nuovo modo di acquisire la conoscenza, ma la tendenza è chiara e ineludibile. In un simile contesto, una società in cui tutti possono conoscere tutto, le stesse modalità di escussione della sapienza del tradizionale custode della scienza giuridica sono soggette a mutazione.
E' intuitivo che, nella società che va tramontando, il rapporto fra l'interlocutore ed il sapiente del diritto era il medium per l'acquisizione della conoscenza. L'autorevolezza del sapiente del diritto si fondava essenzialmente sulla possibilità organizzata di accesso ai dati ed alla loro trasmissione ragionata.
Oggi non è più così, essendo l'interlocutore normalmente informato, anzi potenzialmente più informato, per ovvi motivi egoistici, del sapiente del diritto circa il suo proprio problema. Ed all'avvocato, come uno dei sapienti del diritto, si finisce con il chiedere la sola prestazione "giudiziaria".
Si è quindi, e di molto, spostato il confine della "autorevolezza".
Autorevolezza che può essere riconquistata non con antistoriche e peraltro illusorie pretese di riserva di competenza, ma ragionando con categorie nuove sulle modalità di formazione dell'Avvocato.
So bene che una delle possibili risposte al problema è quella della "specializzazione". Ritengo, però, che una simile risposta conduca ad una perdita secca e definitiva della possibilità di dispiegare "autorevolezza" in tutte quelle attività border-line di cui parlavo prima. Insomma, io ricorro allo "specialista" quando non sono riuscito a risolvere in alcun modo "generico" il mio problema.
Ma anche ciò che è "generico" deve oggi possedere livelli di "autorevolezza" più alti che in passato.
So bene, inoltre, che un'altra risposta è possibile risiede in quel bene-rifugio classico che è la interpretazione. Ma anche questa è una scelta perdente, poiché della interpretazione si è impadronita, con una "autorevolezza" che deriva dall'esercizio di un potere, un altro ceto di sapienti del diritto, e cioè i Magistrati.
Con una serie di conseguenze che Guido Alpa sintetizza nella frase "l'interprete può raggiungere, sostanzialmente, i limiti dell'arbitrio".
Contro le ragioni dell'apprendimento specialistico, contro le ragioni dell'apprendimento casistico, io sostengo le ragioni dell'apprendimento reticolare, in cui - sia chiaro - non vi è alcuna soppressione degli altri metodi di approccio.
Definisco "apprendimento reticolare" quello che consente, attraverso l'acquisizione di più punti di vista, attraverso più mezzi e più discipline, la capacità di produrre senso normativo. Di produrre, cioè, la norma che - di volta in volta - governa il conflitto in questione. Insomma, la strada da percorrere è quella di un "pensiero forte" dell'Avvocatura.
E' superfluo, naturalmente, dire che questo percorso postula anche una crescita dei poteri e della autorevolezza dell'Avvocato, anche nei processi. Ma tale crescita, per quanto auspicabile, se rinchiusa nel solo ambito del processo, non risponderebbe efficacemente ai  problemi che le segnalate trasformazioni in corso pongono agli Avvocati. La via della formazione è una via impegnativa. Rappresenta, sotto molti aspetti, una vera e propria "lotteria sociale" proprio perché nessuno è in grado, oggi, di prevedere alcunché.
Su questo, le scelte dovranno essere consapevoli, meditate, responsabili. E, possibilmente, prese senza usare gli "occhiali del passato".

Una provvisoria conclusione
Il diritto, almeno negli ultimi due secoli, è sempre venuto dopo le trasformazioni, ha sempre seguito gli eventi. Ma l'ultima delle grandi trasformazioni in corso, che intendo segnalare, reclama nuove responsabilità per i giuristi. Il deperire progressivo degli Stati-Nazione ed i processi di globalizzazione indicano solo una "apparente anomia" (come dice Eligio Resta). C'è un cammino diverso che si fa lentamente ma decisamente più visibile: ed è un cammino che conduce a codificazioni sovranazionali.
Gli Avvocati, come parte essenziale del ceto dei giuristi, possono riappropriarsi di un ruolo "creativo". E' nella vittoria di questa scommessa che è riposta la possibilità di acquisire una nuova "autorevolezza". E' nella vittoria di questa scommessa che si gioca la possibilità di non essere rinchiusi nel giudiziario, abilitati alla difesa innanzi alle Corti, consegnando ad altri consistenti quote di mercato.
La partita si gioca non sposando il mito della Legge, ma  attraverso una  apertura cognitiva verso dimensioni differenti da quelle che oggi stanno negli orizzonti delle nostre immagini.
Conclusione provvisoria, perché siamo appena all'inizio della transizione e possiamo vedere la strada ma non ancora il traguardo.
Conclusione provvisoria, ma a mio modo di vedere importante, per evitare di arrivare sempre dopo, quando tutti i giochi sono stati già fatti.