COME SI TRASFORMA L'AVVOCATO:
MEDIAZIONE
E PROFESSIONE
di Emanuele Signorini
L'inefficienza ormai cronica del nostro sistema giudiziario, i lunghi
tempi processuali ed i risultati deludenti della pur recente riforma del
rito civile, hanno indotto la dottrina e l'avvocatura italiana ad esaminare
e riflettere sui sistemi alternativi di risoluzione delle controversie.
Del resto, mosso dalla esigenza di deflazionare l'apparato giudiziario
e dunque consentirne un migliore funzionamento, il Legislatore italiano
ha già introdotto alcune ipotesi di risoluzione stragiudiziale delle
liti (1) e si appresta ad ampliare notevolmente l'ambito delle loro operatività,
nei termini delineati nel disegno di legge n.4567 presentato alla Camera
il 17 febbraio 1998.
E' probabile che abbia ragione Abel quando afferma che nella tendenza
alla deformalizzazione vi sarebbe una volontà reazionaria sottostante
diretta a privare le classi più deboli delle strutture istituzionali
necessarie per tutelare i loro diritti, così perpetuando le disuguaglianze
economiche e sociali (2), ma non si vuole in questa sede verificare
l'opportunità o la necessità del ricorso a soluzioni di tipo
conciliativo, bensì stimolare una riflessione, sinora assente in
Italia, su come la professione forense debba trasformarsi perché
le soluzioni conciliative non restino un mero passaggio formale, come,
purtroppo, l'esperienza in materia di controversie di lavoro ci sta mostrando,
e non sempre, e non solo, per la disorganizzazione e l'impreparazione degli
organi pubblici cui la conciliazione è demandata.
L'avvocatura durante l'ultimo anno ha sì preso in considerazione
i sistemi di ADR, finendo poi, visti gli evidenti limiti di funzionalità
del processo giudiziario, per accettarne l'introduzione, seppure senza
eccessivi entusiasmi. Ma ha focalizzato la propria attenzione su come conciliare
la ricerca di forme procedimentali che assicurino una giustizia più
accessibile e più rapida con l'esigenza di salvaguardare le garanzie
della difesa.(3)
Se sacrosanta deve considerarsi la richiesta dell'Avvocatura in ordine
alla indipendenza e neutralità degli organi e all'adeguata rappresentanza
di tutte le parti interessate, dobbiamo però chiederci se la presenza
necessaria della difesa tecnica, reclamata a gran voce, non imponga di
rivedere standard di condotta e norme deontologiche.
Il problema è di maggior rilievo per quelle figure, come la
mediazione e la conciliazione, che, a differenza dell'arbitrato, non hanno
un meccanismo para-processuale.(4)
Il sistema processuale, basato sulla dicotomia vincitore-perdente,
incoraggia un approccio battagliero, basato sui diritti.
Nella mediazione, invece, l'obiettivo è quello di ottenere una
soluzione di mutua soddisfazione; viene dunque richiesto, per risolvere
il conflitto, un approccio di collaborazione, basato sugli interessi. Il
procedimento non deve determinare chi vince o chi perde, ma far raggiungere
un accordo soddisfacente per tutte le parti.
L'enfasi dell'assistenza forense non deve dunque essere posta sui diritti,
su chi ha ragione e chi torto, ma nel prospettare e modellare una soluzione
che sia per determinate parti migliore rispetto alla decisione giudiziale.
Una soluzione accettabile può essere influenzata da una serie
di fattori che sarebbero irrilevanti davanti ad un Giudice, ad esempio
la tempestività, la tradizione, la prassi di un determinato settore.
Quel che più conta è riuscire ad ideare soluzioni che incontrano
i bisogni delle parti, più che irrigidirsi sui diritti che potrebbero
esser fatti valere nel processo.
L'avvocato dovrebbe dunque innanzitutto imparare ad ascoltare diversamente
i bisogni del cliente, dei quali ha normalmente un punto di vista ristretto
, limitato al diritto, a quel che è legittimo o no.
L'efficacia della rappresentanza è enormemente accresciuta se
si è capaci di considerare fattori extralegali e si è capaci
di comprendere gli effettivi bisogni ed interessi del cliente.
La preparazione alla mediazione abbisogna dunque di una ricognizione
ampia dei bisogni economici, sociali, psicologici, politici. Una decisione
giudiziale , anche la più corretta sotto il profilo strettamente
giuridico, potrebbe anche condurre, paradossalmente, a soluzioni insoddisfacenti
sia per l'una che per l'altra parte.
E' vero che l'avvocato ha l'abitudine alla trattativa, ma vi è
una importante differenza nella mediazione, in cui non si dovrebbe difendere
alcuna posizione. Non è facile per l'avvocato convincersi di non
avere di fronte un avversario, di non dover radicalizzare alcuna posizione.
Invece di definire il problema in termini di violazione di una norma,
si deve prima tentare di comprendere il problema in termini di ripercussione
sull'organizzazione (la società, l'impresa, la famiglia etc). Quali
sono gli obiettivi, gli interessi e i rischi delle parti in gioco? Quali
argomenti o conflitti si profilano con riguardo alle azioni proposte o
determinate prassi? Qual è la relazione tra l'attività che
può potenzialmente creare problemi ed i bisogni dell'organizzazione?
Come le prassi interagiscono con i precetti contenuti in norme di legge?
Quali sono i sistemi che incentivano e influenzano l'osservanza delle norme
o la reazione ad esse?
Se la scena della mediazione e della conciliazione viene usata come
un'arena di litiganti in cui agire combattivamente anziché cooperare
a trovare un accordo, non solo viene a cadere la funzione di diverso paradigma
per la risoluzione di controversie, ma la presenza dell'avvocato, rivendicata
come indispensabile garanzia del cittadino, finisce per ostacolare la ricerca
di una soluzione possibile.
In particolare tutta un serie di tattiche e di condotte che possono
essere strumentalmente utili nell'ambito del sistema giudiziario, (si pensi
alle tecniche dilatorie, all'occultamento di fatti, alle trattative
compiute da chi non ha un effettivo potere di definizione, alla richiesta
di verbalizzazione delle dichiarazioni, alla modifica di posizioni e domande
iniziali) non sono né utili , né appropriate. E si rivelano
poco coerenti rispetto allo scopo dell'istituto.
Tanto che occorre chiedersi se non andrebbero meglio specificate e
chiarite alcune norme deontologiche proprio con riferimento ai metodi alternativi
che non prevedono l'emanazione di un giudizio. Già da qualche anno
negli Stati Uniti, dove l'ADR ha una notevole diffusione, è
in atto un dibattito in ordine alla necessità della prescrizione
agli avvocati di una condotta improntata alla buona fede durante gli incontri
conciliativi.
Non v'è dubbio, infatti, che la reale reciproca conoscenza della
posizione di ciascuna parte facilita la ricerca di una soluzione e delimita
notevolmente il campo dei risultati che ciascuno ritiene di poter
conseguire. Naturalmente ciò appare a molti avvocati in antitesi
con l'obbligo deontologico di rappresentare con zelo gli interessi del
cliente, e di fatto gli avvocati esitano a collaborare con gli altri per
un creativo sforzo risolutorio.
Quali sono i contenuti della buona fede?
L'avvocato dovrebbe innanzitutto informare il proprio cliente sulle
alternative possibili alla proposizione di un giudizio, illustrandone vantaggi
e svantaggi, e chiarendo come e perché possano rappresentare una
più valida opzione.
Si dovrebbe poi arrivare alla mediazione con una approfondita conoscenza
del caso, sia sui fatti che sugli interessi minacciati; tenere in considerazione
gli interessi delle altre parti, far partecipare alle riunioni tutti i
soggetti che hanno il potere di decidere; ingaggiare una discussione aperta
e franca sulle proprie posizioni, in modo da consentire agli altri di conoscere
meglio e capire; non rispondere mendacemente alle domande dirette e specifiche;
essere capaci di ascoltare e tentare di comprendere la posizione delle
altre parti; spiegare i motivi per cui si offre una specifica proposta
di soluzione o perché si ritiene di doverne rifiutare un'altra.
Siamo davanti a significativi cambiamenti culturali nel diritto e nell'esercizio
della professione. Qualcuno di questi cambiamenti dovrà riflettersi
in regole etiche più sensibili al contesto ed alle differenze fra
i diversi processi.
"Finché l'uso delle alternative alla risoluzione delle controversie
non diventi comune agli avvocati come l'uso del processo tradizionale,
i clienti non godranno a pieno dell'innovazione dell'ADR" (5)
Gli avvocati dovranno imparare che non serve rappresentare il cliente
per "vincere" la conciliazione o la mediazione, occorre invece il massimo
apporto di collaborazione, creatività e cooperazione e la ridefinizione
di una identità professionale costruttiva che includa le abilità
di pianificazione e soluzione dei problemi.
(1) Basti pensare al tentativo obbligatorio di conciliazione introdotto
con il decreto leg.vo 80/98 per le controversie di lavoro e dalla legge
192/98 in materia di subforniture, o alla possibilità per le Camere
di commercio di costituire commissioni arbitrali e conciliative per la
risoluzione di controversie tra imprese e consumatori prevista dalla L.580/93.
(2) "The contradiction of informal justice" in The politics of informal
justice, New York, 1982.
(3) "Lo sviluppo di modelli di risoluzione alternativa delle controversie
deve avvenire nell'ambito di una cornice regolamentare e legislativa di
riferimento che rispetti la esigenza di garantire i seguenti requisiti:
legalità del percorso conciliativo soprattutto in termini di protezione
del contraente più debole ;costi certi e tali da non essere di ostacolo
allo sviluppo di tali modelli; contraddittorio pieno con la presenza obbligata
della difesa tecnica; rapidità del procedimento di conciliazione
o mediazione; professionalità degli organi terzi preposti al ruolo
di mediatore del conflitto; rispetto di tali principi di legalità
anche nei percorsi conciliativi già esistenti." Dalla relazione
conclusiva approvata dalla assemblea dell'OUA il 29/30.1.99 in Notiziario
OUA dic/gen 99
(4) La mediazione è una procedura privata, volontaria ed informale
che prevede l'assistenza di un terzo scelto dalle parti nel tentativo di
raggiungere un accordo accettato da entrambi, ma che, a differenza dell'arbitro,
non può adottare nessuna decisione
(5) Marguerite S.Milhauser, "Gladiators and Conciliators ADR: a law
firm staple", Bar Leader sett/ott 98
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