COME SI TRASFORMA L’AVVOCATO:
LA
IRRESISTIBILE TRASFORMAZIONE DEGLI STUDI LEGALI
Di Alberto Sansonetti
La futura sopravvivenza della professione di avvocato, quale “specie
particolare del genere professionale” è legata alla sua capacità
di adattamento ‘camaleontico’ alle innovazioni nel campo dei rapporti sociali,
civili, commerciali ed istituzionali ed alla domanda di una prestazione
professionale sempre più specifica, da parte della committenza.
Se è giusto rivendicare la specificità, la peculiarità,
la natura costituzionalizzata della difesa del cittadino, è però
sforzo inane opporsi, per conservarsi come una reliquia del passato, al
nuovo che avanza. Come “ogni forza della tradizione (ndr l’avvocatura è
tale) deve evitare, se vuole sopravvivere, di ostacolare e indebolire l’apparato
scientifico-tecnologico di cui essa in vari modi si serve” (il filosofo
E.Severino, ne “Il destino della tecnica”). Non è dubbio che l’avvocato
moderno ha tratto enormi vantaggi dalla tecnica (sistemi informatici, internet
ect.)
Sono oggetto di continua rivisitazione, sotto il pressing della Corte
U.E. e dell’Antitrust, alcune “fondamenta” di cui è gelosa custode
la professione forense: tra queste, la selezione per l’accesso agli albi;
l’inderogabilità del minimo tariffario; il divieto di pubblicità;
il divieto di costituire società professionali; la natura istituzionale
degli Ordini.
L’avvocato generico, poliedrico, utroque iure, ha anch’egli una storia
antica, ma destinata ad essere travolta dai tempi. Nell’antichità,
Cicerone, e, nei tempi moderni, Carnelutti sono stati i più luminosi
esempi di catalizzatori ed interpreti dell’unità e universalità
del diritto. Alla dissoluzione dell’unità delle fonti di produzione
del diritto (una volta cessata la prerogativa statuale) e dei campi di
intervento delle norme - non esiste più l’esclusiva della
mediazione degli interessi da parte della politica –ha corrisposto il policentrismo
e la differenziazione dei modelli di autonoma normazione e la regolamentazione
dei privati interessi. In particolare, si è imposto prepotentemente,
come una fonte di diritto nuovo e di grande flessibilità, “il contratto”.
I contratti atipici sono più congeniali rispetto a quelli tipici
– che applicano in concreto modelli prefissati rigidamente dalla legge
– alle esigenze del mondo degli affari. Un’economia in continua trasformazione
e con i caratteri metanazionali, sta stretta nella rigidità dei
modelli contrattuali classici, parametrati nell’ottica del diritto nazionale,
e reclama strumenti flessibili di adeguamento del diritto alla mutata realtà.
Un elemento dominante della società postindustriale è la
circolazione internazionale dei modelli contrattuali uniformi, creati non
dalle istituzioni, bensì dagli uffici legali delle multinazionali
di origine americana e che debbono valere (come regola del caso concreto)
in tutti i negoziati in qualsiasi parte del mondo (F.Galgano, in prefazione
a “I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario”,
UTET).
Basti citare, quale esempio di un lessico giuridico nuovo – anglofilo
si dirà – il leasing, più familiare di altri, quali il franchising
o il performance bond. In rapporto alla vastità e peculiarità
dl sapere giuridico si può opporre l’universalità e l’unità
del diritto ? L’avvocato generico (o , come si usa, generalista) può
continuare ad esercitare la professione, facendo leva sulla sua profonda
conoscenza della pandettistica, i quattro codici, con qualche aggiornamento?
Per non essere tagliati fuori dal processo di modernizzazione, la c.d.globalizzazione
dell’economia, la specializzazione e lo studio associato costituiscono
una scelta obbligata.
Forse nella dimensione microeconomica, laddove la concorrenza comparativa
è meno spietata e il rapporto avvocato-cliente è fondato
su una piena e totale fiducia nell’uomo-professionista, c’è ancora
posto per un avvocato generico (l’avvocato del villaggio, secondo una caustica
espressione).
Prima della messa a regime e del rilascio dei diplomi delle scuole
di specializzazione ex art.16 D.leg.vo 17.11.97 n.398, nessuno può
legittimamente vantare titoli di specializzazione; vi sono alcune scuole
post universitarie di perfezionamento (es. quelle in diritto del lavoro
e previdenza sociale presso l’Università di Bari o quella di studi
amministrativi di Bologna) ma, a quanto se ne sa, non hanno il rango di
scuole di specializzazione universitaria.
I pani di studio universitari si sono sempre più adattati al
nuovo; rispetto ai piani di studio di qualche anno fa, compaiono, tra gli
esami fondamentali: il diritto privato della comunità europea; il
diritto penale dell’economia; il diritto del mercato finanziario; il diritto
dell’ambiente; il diritto degli enti locali; le lingue straniere etc.
La specializzazione coinvolge aspetti diversi che interagiscono tra
loro : la deontologia, la corretta informazione pubblicitaria, la responsabilità
professionale e l’organizzazione degli studi.
L’art.12 del codice deontologico vigente impone all’avvocato il “dovere
di competenza”. L’avvocato non deve accettare incarichi che sappia di non
poter svolgere con adeguata competenza; l’accettazione di un determinato
incarico professionale fa presumere la competenza a svolgere quell’incarico.
L’art.13 impone all’avvocato un “dovere di aggiornamento” con particolare
riferimento ai settori nei quali svolga la propria attività. La
possibilità di informazione del pubblico, circa le proprie competenze,
è stata introdotta sia nel disegno di legge sul riordino delle professioni
che in quello sull’ordinamento forense. Anche il codice deontologico –art.14
– da un lato vieta la pubblicità, sic et simpliciter, dall’altro
consente ‘l’indicazione nei rapporti con i terzi…di propri particolari
rami di attività”. Si deve trattare di un’informazione corretta,
non suggestiva, nel rispetto del prestigio della professione e degli obblighi
di segretezza e riservatezza. Sul piano della responsabilità professionale,
il superamento della genericità comporterà l’assunzione di
maggiori responsabilità. Assumere la qualifica di esperto di qualche
materia o settore, comporta che l’avvocato deve essere in condizione di
offrire al committente una prestazione più idonea al raggiungimento
del risultato sperato, anche se non necessariamente a conseguirlo. Non
è corretto escludere, in via di principio, qualsiasi nesso tra l’obbligazione
professionale dell’avvocato (di mezzi) e il risultato che il cliente si
prefigura, specie ove si tratti di una prestazione da specialista. Il professionista
si impegna a far uso della propria “peritia” favore del cliente:
oggetto di ogni contratto d’opera è sempre un risultato, cioè
“l’opera intellettuale che il professionista è tenuto a compiere
in vista del fine ultimo che il committente si ripromette, cioè
il complesso delle prestazioni, comportamenti ed atti professionali in
conformità alle regole tecniche e alle norme di correttezza”.(cfr.G.Musolino,
L’opera intellettuale, Cedam 1995). La giurisprudenza peraltro ammette
la possibilità di introdurre, ne rapporto di mandato professionale,
clausole che prevedano che il diritto all’onorario sia condizionato al
raggiungimento di un risultato positivo per il cliente.
Strettamente intrecciato con la “specializzazione degli studi legali”
e, comunque con una valenza autonoma, è il modulo organizzativo,
associazione o società professionale degli studi. L’esperienza italiana
degli studi legali, che emerge dallo studio del Censis (1997) offre come
dato prevalente (65%) quello del titolare unico dello studio. In generale
l’avvocato, titolare unico del proprio studio, si avvale di collaboratori
e addetti, ma conserva una “ancestrale” ripulsa per la condivisione delle
proprie responsabilità. La realtà dell’associazionismo è
di data recente e nel sud trova maggiori resistenze che altrove. Qualsiasi
modello di società professionale si voglia prefigurare, non sarà
compatibile con quello delle società di capitali, fondate sul fine
di lucro; occorre inventare un modello di società di professionisti,
che esca dall’alveo delle società tipiche commerciali. Premessa
basilare del rapporto associativo è quella della condivisione dell’attività
professionale, preferibilmente intesa come corresponsabilità interna,
ferma restando l’essenziale personalità –verso i terzi – della prestazione.
A differenza delle professioni tecniche, non sono richiesti, per la costituzione
delle società, ingenti apporti di capitale; il vero capitale è
la preparazione tecnica e la qualità morale, valori in sé.
E’ utile attuare, all’interno della società professionale, la divisione
di settori di lavoro, come naturale percorso per raggiungere la specializzazione,
resta comunque da preferire il lavoro per “equipe”, almeno nella fase di
scelta delle strategie e strumenti difensivi. Negli statuti dovrà
vigere la regola della pari dignità e corresponsabilità,
a prescindere dalle quote di partecipazione, che conserveranno la propria
valenza quanto agli aspetti gestionali-economici; è inoltre opportuno
che siano inserite clausole di gradimento rigide per evitare la cessione
di quote ed il subentro di soci non graditi dagli altri.
|