L'attacco strisciante allo stato
di dirittto
da La Repubblica del 16.11.99
di EZIO MAURO
UN'ondata di revisionismo feroce, a senso unico e di pronto impiego
sta investendo le vicende italiane, deformandole e deviandole verso un
indirizzo politico preciso. Dall'affare Mitrokhin alle due sentenze che
hanno assolto Giulio Andreotti, alla malattia di Craxi, alla giovinezza
di Bobbio, tutto viene sfruttato e usato non per rileggere la storia italiana
del dopoguerra, cercando un terreno finalmente condiviso sul quale costruire
una reciproca legittimazione tra le due Italie, ma per armare la lotta
politica di oggi, delegittimando la classe dirigente del centrosinistra
a favore della destra berlusconiana e addirittura dei suoi antenati del
Caf.
E' un'operazione che non punta affatto a chiarire gli angoli bui della
storia italiana, e in particolare della sinistra, negli anni della sudditanza
a Mosca, poi della complicità con il socialismo reale e quindi del
silenzio e dell'ambiguità. No: è un'operazione a pronto incasso,
che cerca di dare una spallata al quadro politico già fragile e
traballante, e per farlo riduce le biografie a pettegolezzo, le sentenze
a manifesti elettorali, la storia a propaganda. Solo così si annullano
le distinzioni e le differenze, i percorsi individuali e collettivi, e
il manto del revisionismo può scendere a confondere tutto: la giustizia,
la politica, la storia.
Il caso Craxi è in questo senso esemplare. Titanicamente come
ha vissuto, e come ha condotto la lotta politica, Craxi ha deciso di non
riconoscere la giustizia italiana che indagava su di lui per Tangentopoli,
si è sottratto alle inchieste e ai processi e ha scelto la latitanza
in Tunisia. Oggi è un uomo malato, probabilmente in modo grave.
La Repubblica democratica non può e non deve essere né vendicativa
né crudele. Poiché nel suo ordinamento è previsto
il caso della sospensione della pena (che non viene cancellata, ma differita
per la durata del periodo di cura) per un condannato con sentenza definitiva
caduto in grave malattia, questo percorso è stato avviato, su istanza
dei legali dell'ex segretario del Psi, con il consenso pubblicamente dichiarato
del Procuratore D'Ambrosio. Ieri questo percorso è stato interrotto
dagli stessi avvocati di Craxi, che hanno cancellato ogni ipotesi di rientro
in Italia dopo la decisione del Tribunale di Milano di accogliere l'istanza
di revoca del terzo mandato di cattura ancora pendente per il leader socialista,
trasformandolo però negli arresti domiciliari presso l'ospedale
San Raffaele di Milano.
QUESTO significa che non si voleva un "gesto umanitario", come ha ripetuto
più volte il segretario socialista Boselli, per consentire a Craxi
di curarsi sospendendo la pena disposta da una sentenza passata in giudicato,
e dunque evitando il carcere - com'è giusto - in presenza di una
grave malattia: si voleva invece un "gesto politico", come ha chiesto Martelli,
cioè una vera e propria rilettura storica della vicenda craxiana,
talmente radicale e potente da forzare l'ordinamento giudiziario e portare
alla revisione dei processi, annullando la pena. Ma in uno Stato di diritto
questo esito rivoluzionario ed eccezionale è possibile soltanto
sospendendo il diritto, ricoprendo i cartelli appesi nelle aule di Tribunale
per affermare che la legge è uguale per tutti, e in buona sostanza
portando la politica a sopravanzare la giustizia, bloccandola e rivoltandola
secondo i rapporti di forza del momento e l'opinione dominante in questa
fase.
Sostenere tutto ciò, con grande rispetto per un uomo malato,
ma con uguale rispetto per la legge, è giustizialista? Dovrebbe
al contrario essere una preoccupazione liberale, se non fosse che i liberali
italiani, nel tempo lasciato libero dall'alleanza che stanno stringendo
con i vescovi sulla scuola privata, sono forsennatamente impegnati nel
grande processo di revisione che punta a riscrivere la storia italiana
per fini politici contingenti. Craxi, che dalla sua latitanza non ha chiesto
aiuto a nessuno, è il simbolo perfetto perché la revisione
sia compiuta, è la fine emblematica di questa operazione come Andreotti
ne è stato il grande inizio. Anzi: Craxi viene usato come un totem
da tutto l'arco revisionista, che si ripara dietro la sua immagine e la
sua forza d' urto, per arrivare alla spallata definitiva.
L'uso strumentale che viene fatto di questa vicenda, infatti, insieme
con l'abuso polemico e politico che è stato fatto delle sentenze
Andreotti, tenta di confondere i confini che in ogni democrazia devono
restare ben distinti e separati tra la politica e la giustizia. Nella confusione,
avanza nell'opinione pubblica il sentimento di una sorta di amnistia strisciante,
una specie di soluzione politica che nessuno ha deciso e votato, ma che
si vuole affermare come una condizione ineluttabile, un dato di fatto,
qualcosa che è già presente nella quotidianità italiana,
e che cresce e prende forma giorno dopo giorno.
Tutto ciò - deve essere ben chiaro - sta avvenendo sotto la
linea d'ombra della politica. Sono spintoni, strumentalizzazioni, intimidazioni.
Letture abusive di sentenze, revisionismi di convenienza, killeraggi preventivi.
Ma la politica (ecco il dato più allarmante) non governa e non indirizza
questo processo di "soluzione strisciante" per Tangentopoli, che così
non ha né padri né madri. Nessuno ne parla a voce alta, nessuno
si contrappone, nessuno si assume le necessarie responsabilità.
In passato, quando la politica era più forte, non è stato
così. Varie ipotesi di amnistia sono state sostenute alla luce del
sole, aprendo una discussione aspra (che ha coinvolto anche questo giornale),
ma trasparente. Così com'era trasparente la proposta di un "perdono
dell'Ulivo", preparata da Prodi nel settembre del 1998, a condizioni chiare:
conclusione dei processi; indulto per le forme minori di corruzione, con
esclusione della corruzione per i giudici; restituzione del maltolto; sospensione
dai pubblici uffici per i condannati.
Oggi invece la politica è gregaria, e si muove in retroguardia,
a siglare con le sue dichiarazioni stanche le prese di posizione delle
forze che operano per un'amnistia silenziosa, delle lobby che le appoggiano,
del revisionismo ibridato dai poteri forti, che manovra tra la polvere
e gli altari, secondo le necessità. Per questo D'Alema non può
stupirsi del banchetto interessato che è stato immediatamente imbandito
sulle sue dichiarazioni su Dc e Psi. Il premier spiega le sue ragioni con
una lettera cortese e sconfortata che pubblichiamo qui di fianco, ed è
chiaro a tutti che ha detto una cosa ovvia e giusta. Ma l'uso politico
che in questo momento ne viene fatto (non dai commentatori, signor presidente
del Consiglio, ma dagli uomini politici suoi alleati e avversari) va nella
direzione della restaurazione pura e semplice. E quest'uso era prevedibile
e scontato, con il Capo del governo che oggi deve difendersi o dal sospetto
di grandi manovre a fini d'amnistia strisciante o dall'accusa di piccolo
cabotaggio e di navigazione a vista, usando la storia del Psi per rabbonire
Boselli.
L'unico rimedio è che la politica riprenda il suo posto, provando
a governare i processi in corso invece di subirli, con la scomoda ma inevitabile
complicazione di pronunciare dei sì e dei no, mettendo dei paletti,
ritrovando dei principi da difendere. Dopo il sentimento di umanità,
ad esempio, qualcuno vorrà parlare del principio di legalità?
E' giustizialista pronunciare questa parola in questo Paese? Mentre si
discute a voce bassa, troppo bassa, di "soluzione strisciante", come devono
operare i magistrati che hanno inchieste aperte per corruzione? L'opera
di giustizia sui casi di malaffare deve arrestarsi in attesa che l'Italia
strisciante prevalga, o può andare avanti? E poiché il clima
è palesemente cambiato, i magistrati devono forse pensare che è
più conveniente archiviare e tacere? Per arrivare infine all'ultima
domanda: sono dunque soltanto i rapporti di forza che reggono la bilancia
della giustizia in Italia?
Non commentiamo le due notizie di cronaca giudiziaria che arrivano
da Milano, perché nel "lodo Mondadori" è coinvolto questo
giornale e questo gruppo, i quali secondo l'ipotesi dell' accusa sarebbero
stati danneggiati da Berlusconi e Previti con la "corruzione in atti giudiziari".
Diciamo soltanto che alcuni nodi di Tangentopoli, nel silenzio assordante
dei revisionisti, stanno ancora venendo al pettine: e sono nodi che riguardano
ipotesi di reato capaci di deformare la democrazia economica, tanto che
mai nessuno li ha inseriti nei progetti di amnistia. Anche per questo,
per i nodi e per il pettine, oggi si tenta la spallata che abbiamo chiamato
decisiva, per cancellare tutto. Poi, tanto, si riscriverà la storia.
L'unico strumento democratico per fermare questa restaurazione strisciante,
è la politica. Esca dall'angolo, e dal suo silenzio. Faccia la sua
parte, e si assuma le sue responsabilità. Questo silenzio, a sinistra,
non è probabilmente un segno di complicità, ma certo lo è
di subalternità. Tutta la discussione politica e culturale si svolge
sui temi dettati strumentalmente dalla destra. Ma questo non avviene per
caso. Se la sinistra arranca in questo Paese, passiva e gregaria, la colpa
è della sua identità incompiuta, non ancora riconosciuta
e riconoscibile, dunque orgogliosa, e capace di scegliere da sola - in
base appunto al suo nuovo carattere - che cosa rigettare e che cosa conservare
dal suo passato. Una sinistra solo di ex sarà sempre succube del
pensiero dominante, per sempre esposta al vento revisionista che le soffia
contro. Urge un approdo, se non è troppo tardi.
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