Giustizia Sprint
da Il Mattino del 18.10.99
Giuseppe Maria Berruti
Il security day (non capisco perché si debba adoperare l’americano),
e la parallela iniziativa dell’Asinello, non hanno detto granché
di nuovo. Anzi molto di ciò che leggo mi pare contraddittorio con
tutto ciò che in Parlamento sta accadendo. All’inizio dell’anno
prossimo partirà il giudice unico di primo grado anche per la materia
penale. La conseguenza sarà una moltiplicazione dei magistrati impegnati
a giudicare in composizione monocratica, soprattutto le cause più
vicine alle esigenze di ordine pubblico. Ad esempio i furti nella loro
ampia tipologia, e molti dei cosiddetti reati di strada dovrebbero trovare
in primo grado una pressante risposta giudiziaria.
Le perplessità di parte della opposizione, e di parte della
maggioranza, sono di natura garantista. Si dubita della opportunità
di dare una competenza troppo ampia ad un giudice singolo e si ritiene
di conservare la più dialettica sede del collegio per quanto è
possibile. Posizione condivisibile, a condizione però di cambiare
il processo, che è una vera e propria corsa ad ostacoli tra mille
preclusioni legittimamente sfruttate dalle difese. Insomma si potrebbe
andare avanti con la regola del collegio ma solo con un processo meno garantito.
Il che mi pare nessuno vuole, in particolare l’opposizione, che tuttavia
propone il giudice di strada. Cioé un giudice celere, se comprendo,
modellato su alcune legislazioni nordamericane, che giudichi entro poche
ore fatti di immediata pericolosità. Si immagina, insomma, un giudizio
che per rapidità, e quindi per sommarietà, è meno
garantito di quello che oggi vige e che è lento perché è
più garantito.
Tutti sappiamo che la droga è all’origine di una serie di delitti,
ripetuti anche dalle stesse persone, la cui pericolosità sta nella
loro massa. Punire i colpevoli una volta individuati è particolarmente
significativo, ma la diffidenza verso il giudice singolo ha colpito ancora.
Il disegno di modifica del sistema penale approvato dal Senato contiene
una norma che prevede il giudice collegiale per i reati di cui all’art.
73 del dpr n. 309 del 1990. Cioé per la tipica cessione di droga,
il cui accertamento è certamente facile ma che rappresenta una quota
altissima del carico dei tribunali. La rinuncia a questa incomprensibile
garanzia servirebbe a recuperare quote di efficienza preziose per fare
i processi e rendere più certa la pena. Ciò che tutti dicono
di volere.
La stessa riforma prevede che la riduzione di pena prevista per incentivare
il giudizio abbreviato è maggiore di quella che si prevede per il
patteggiamento. Quest’ultimo, che fa risparmiare il dibattimento perché
si basa sulla ammissione di responsabilità da parte dell’imputato,
è perciò meno conveniente di un giudizio vero e proprio,
benché semplificato. Il che è contraddittorio con la domanda
di efficienza, anche se risponde ad esigenze che soprattutto l’opposizione
ha fatto presente data la sua diffidenza verso le collaborazioni di giustizia
che sovente si avvalgono del patteggiamento. Tutto ciò senza contare
la prossima approvazione della riforma costituzionale del cosiddetto giusto
processo che renderà obbligatorio il dibattimento per qualunque
tipo di giudizio. E che rischia nell’immediato di paralizzare tutto il
processo.
Insomma, come da sette anni accade con disperante regolarità,
l’approccio ai temi della giustizia è strumentale. Gli accordi e
i disaccordi servono a scopi distantissimi. Io credo nel primato della
politica in democrazia. Purché la politica sintetizzi tutte le esigenze
e non si dimentichi di ciò che essa stessa ha deciso.
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